Saenz, Saenz traduzioni, Traduzioni

Percorrere questa distanza

I grandi malesseri causati dalle ombre, le visioni malinconiche sorte dalla notte,
tutto ciò che è orripilante, tutto ciò che è atroce, ciò che non ha nome, ciò che non ha un perché,
bisogna sopportarlo, chissà perché.
Se da mangiare non hai che immondizia, non dire niente.
Se l’immondizia ti fa male, non dire niente.
Se ti mozzano i piedi, se ti bruciano le mani, se la lingua ti marcisce, se ti spacchi la schiena, se ti spezzi l’anima, non dire niente.
Se ti avvelenano non dire niente, neanche se ti escono le budella dalla bocca e ti si rizzano i capelli in testa; anche se annegano i tuoi occhi nel sangue, non dire niente.
Se ti senti bene non sentirti bene. Se ti fermi non fermarti. Se muori non morire. Se ti affliggi non affliggerti. Non dire niente.
Vivere è difficile; cosa difficile non dire niente.
Sopportare la gente senza dire niente non è per niente facile.
È molto difficile – in quanto pretende che la si capisca senza dire niente,
capire la gente senza dire niente.
È terribilmente difficile eppure molto facile essere gente;
ma la cosa difficile è non dire niente.



(Questi versi appartengono al poema “Recorrer esta distancia”, del 1973, che figura nel volume Immanent Visitor – Selected Poems of Jaime Saenz, A Bilingual Edition. Berkeley, University of California Press, 2002. È possibile leggere interamente il volume qui:

https://publishing.cdlib.org/ucpressebooks/view?docId=kt9m3nc9hd&brand=ucpress
Devo la segnalazione allo scrittore argentino Ariel Luppino, che ringrazio.)

Standard
Pacheco, Pacheco traduzioni, Traduzioni

Acari o la guerra dei mondi

José Emilio Pacheco (1939-2014), di cui ho tradotto per le edizioni Sur i racconti delle raccolte Il vento distante (2014), Il principio del piacere (2015) e più recentemente l’antologia Ricordo e non ricordo (2020), che comprende anche il romanzo breve Le battaglie nel deserto, è stato soprattutto uno squisito poeta. Nella sua opera poetica, contenuta in gran parte nell’antologia Tarde o temprano (Poemas 1958-2009), pubblicata da Tusquets nel 2010, figurano molti testi che configurano un vero e proprio “Bestiario”, a partire da una sezione di No me preguntes como pasa el tiempo, del 1969, significativamente intitolata “Los animales saben”, traduzione di una frase di Samuel Beckett tratta da Come è (le bêtes savent). E a partire da lì saranno diverse le poesie di Pacheco che hanno per protagonisti gli animali, nel solco di una tradizione che risale almeno al secolo II o III della nostra era.

Continue reading
Standard
Aramburu, Aramburu traduzioni, Traduzioni

Ho raccolto l’eredità di Pinilla

Un giorno di ottobre di tre anni fa ci lasciava, novantenne e lucido, Ramiro Pinilla. È sufficiente dire Ramiro: era così che lo conoscevamo. Era della classe di mio padre, il 1923. E non coincidevano solo nell’età. Entrambi erano legati al mondo del lavoro, che Ramiro, prima nella marina mercantile, poi in una fabbrica di gas e in una casa editrice, combinò come poté con la scrittura. Erano appassionati di calcio, uno tifava per i biancorossi dell’Atlético Madrid e l’altro per i biancoazzurri dell’Espanyol di Barcellona. È possibile che in quei colori iniziasse e terminasse la loro unica religione. Credevano inoltre in quella sinistra internazionalista, proletaria, che propugnava la fratellanza tra i popoli e i diritti dei lavoratori, e che a quel tempo non sapeva niente di bandiere regionali né subordinava i suoi principi ai sentimenti identitari. 

Ramiro e mio padre avevano vissuto la guerra civile da adolescenti, e senza avervi partecipato erano stati sconfitti. Forse in uno di quei giorni di esplosioni e di fumo i due ragazzi si erano incrociati in una strada di Bilbao. Mio padre era stato imbarcato su una nave da carico gremita di bambini rifugiati diretta in Francia. Se l’avessero portato in Russia, io non sarei nato. Ramiro si trascinò per tutta la vita il ricordo tenebroso della repressione. Decenni dopo, si ricordava ancora di quei falangisti del primo dopoguerra che rastrellavano le case di Gexto e dei dintorni in cerca di carne da mettere al muro. Ne parlò in alcuni passi dei suoi romanzi; e sono il tema centrale di La higuera, uno dei suoi testi che apprezzo maggiormente. 

Ramiro Pinilla impiegava quel tipo di umorismo sotterraneo il cui scopo originario non è provocare le risate, ma conficcare nell’interlocutore, come senza volerlo, un pungiglione di sottile ironia. Era un uomo di significati, più che di preziosismi formali. Ha lasciato detto che scriveva perché parlava poco. Una sorta di compensazione, dunque, che a mio parere non esaurisce le profonde motivazioni della sua scrittura, alla quale non difettano né la testimonianza dell’epoca né la coscienza sociale. Soprattutto nel romanzo, ma anche nei racconti, trovò la forma che meglio si adattava alle sue enormi doti di narratore. 

Continue reading
Standard
Laiseca, Laiseca traduzioni, Traduzioni

I nemici di stanza

Quando Personaggio Iseka aprì gli occhi quella mattina, la prima cosa che vide fu un Soria. Ma non Luis, quello che aveva vicino, bensì il più lontano: Juan Carlos Soria. «Questo Soria, quando si alza la mattina», pensò Iseka «lo fa alla maniera di una lezione magistrale, senza discussione, come si usava nelle facoltà in passato. Ottimista d’un balzo. Io no. Indugio per tutti i minuti che posso: pelandronissimo a letto. «Tutta l’inerzia necessaria per cominciare la giornata, lui la posticipa. A mo’ di tromba e musica utilizza, rispettivamente, lo yoghurt e la respirazione. È soltanto quando si sveglia dalla siesta che ci delude. Si è costruito una specie di fascia abbassabile, di carta, per far sì che la luce non gli impedisca di dormire. Dicevo che dopo la siesta delude. Infatti: non si alza più d’un balzo; in quel momento, invece, con il suo tappaocchi sui capelli di stoppa somiglia a un cacicco toba sconfitto e avviato alla conversione o a una riserva. «Lui mi dà consigli».

Continue reading
Standard
Gardini, Gardini traduzioni, Traduzioni

La fortezza della solitudine

Quell’estate ebbe i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Nella casa che avevamo preso in affitto papà poteva fare il barbecue più frequentemente, però cenavamo fuori meno spesso, e in quel paese quasi non c’era dove cenare fuori. Non c’erano videogames né biciclette a noleggio, né tante gelaterie, né ragazze che regalavano campioni di creme o abbronzanti, ma era tutto più economico e tranquillo, e la mamma diceva che papà aveva bisogno di riposare sul serio e che non potevamo spendere molto.
La spiaggia era un deserto immenso. Nessuno ti calpestava o ti riempiva di sabbia, non ti piantavano gli ombrelloni vicino, e si poteva giocare a pallone, anche se quasi sempre dovevo giocare da solo. A papà e mamma non piaceva andare alla spiaggia tutti i giorni, ma in quel posto mi lasciavano andare da solo e io potevo esplorare a mio piacimento, con la cartella in spalla, quel poco che c’era da esplorare.

Continue reading
Standard