La battaglia sarebbe iniziata con precisione matematica alle undici del mattino. I generalissimi di entrambi gli eserciti si vantavano dell’efficienza e del coraggio dei loro soldati, e se si fosse dato credito all’entusiasmo dei generalissimi si sarebbe caduti nel grave errore logico di supporre che dovessero verificarsi inevitabilmente due vittorie. Tuttavia, seguendo queste stesse deduzioni logiche, bisogna ammettere che qualcosa di strano cominciava a deformare quelle concezioni. Per esempio, il generalissimo dell’esercito trincerato sulla collina mostrò un evidente disappunto nel constatare, cronometro in mano, che alle undici e cinque minuti non era ancora avvenuto l’indebolimento delle difese esterne del suo esercito da parte dell’aviazione nemica. Tutto questo era così insolito, contravveniva talmente allo spirito di regolarità della battaglia, che senza poter nascondere i propri timori prese il telefono da campo per comunicarlo al rivale, il generalissimo dell’altro esercito, trincerato a sua volta nell’ampia pianura di fronte alla succitata collina. Questi rispose altrettanto angosciato. Erano già trascorsi cinque minuti e l’indebolimento delle difese esterne non dava segno di iniziare. Impossibile cominciare la battaglia senza questa operazione preparatoria. Le cose però si complicarono perché i carristi si rifiutarono di dare l’assalto. I generalissimi pensarono al procedimento sbrigativo della fucilazione. Neanche questo fu possibile portare a termine. I generalissimi si ritrovarono d’accordo sul fatto che il rifiuto di combattere non derivava dalle cause che si riassumono nella ben nota frase: “basso morale delle truppe…”. Allo scopo di dare un esempio di disciplina e ubbidienza alla causa militare, i generalissimi intrapresero una singolare battaglia: alla guida ciascuno di un grande carro armato si scontrarono come due giganti. Il combattimento fu breve e morirono entrambi. Davanti a uno specchietto appeso a un treppiedi, un soldato si radeva. Un gatto enorme gironzolava intorno a un paracadute aperto.
Il cane mascotte delle truppe trincerate nella pianura mordicchiava con indolenza una mano del generalissimo trincerato sulla collina. Non era arrischiato supporre che alle dodici e un quarto la battaglia non era ancora iniziata.
Il racconto “La batalla”, del 1944, fa parte della raccolta Cuentos fríos. Su Virgilio Piñera si può leggere qui la voce che gli ha dedicato César Aira nel suo Diccionario. Un racconto di Piñera è stato pubblicato sul blog di Sur.