Torna in libreria Paradiso, del cubano José Lezama Lima, per le Edizioni Sur, dopo la prima edizione italiana Rizzoli voluta da Alba de Cespedes nel 1990 e quella Einaudi, decisamente più affidabile, del 1995. Quest’ultima traduzione, ripresa da Sur, vinse il premio Grinzane Cavour ed è del compianto Glauco Felici, come pure il glossario e un «repertorio di cose, luoghi e personaggi». Completano il volume una prefazione di Chiara Valerio e parte di un lungo scritto di Julio Cortázar del 1966, «Per arrivare a Lezama Lima».
Salvo alcuni capitoli comparsi già a partire dal 1949 sulla rivista «Orígenes», da lui fondata e diretta, la prima edizione cubana dell’opera risale al 1966, quando Lezama Lima (1910-1976) era un apprezzato poeta e saggista ultracinquantenne, conosciuto a livello internazionale. In effetti Paradiso si abbevera alle fonti primigenie della poesia lezamiana, ovvero al ruolo centrale dell’immagine, mentre condivide con il saggio un solido impianto argomentativo basato su una colossale ed eterodossa erudizione e sul gusto per le digressioni. Ne scaturisce un romanzo decisamente anomalo, dove si rievocano manifestazioni studentesche ma anche l’estrazione di un fibroma o gli insaziabili appetiti sessuali degli afosi pomeriggi dell’Avana. Un romanzo che si può anche riassumere, per fornire una mappa al lettore, ma questo lettore deve appartenere alla schiera di quelli che amano le cose difficili: «Solo il difficile è stimolante», ci avverte l’autore. Infatti, al di là della “storia”, ovvero della trama errabonda, ciò che conta è il torrente di immagini, metafore, allusioni, in cui si affastellano nozioni enciclopediche e lampi di filosofie gnostiche insieme a ricette di cucina, che lasciano il lettore in balia di una scrittura senza argini, rizomatica, talvolta sospesa sul baratro dell’incomprensibilità. Ma sempre alla ricerca di una salutare tensione verso l’armonia primordiale, nella quale la realtà è un continuum: dalle sensazioni soggettive alla fisicità delle cose, unica guida la bussola del desiderio.
Paradiso, dunque, parla dell’infanzia di José Cemi (alter ego dell’autore), figlio di un ufficiale, che trascorre i suoi primi anni in accampamenti militari, in Giamaica e poi in Messico, ma che rimane presto orfano e viene coccolato dalle donne di casa. Gli attacchi d’asma – di cui soffriva anche l’autore, impenitente fumatore di sigari – gli provocano incubi e lo spingono a rifugiarsi nelle letture e nella riflessione. Dopo un lungo excursus sulla sua storia familiare, segue il racconto delle esperienze adolescenziali, l’iniziazione al sesso e alla poesia, le appassionate discussioni con gli amici universitari, la figura dell’amata madre, centrale anche nella vita di Lezama Lima, e dopo la morte della nonna l’incontro con Oppiano Licario, che sarà suo maestro e protettore spirituale, nonché il protagonista di un secondo romanzo omonimo, pubblicato postumo.
Nel gennaio del 2011 la rivista «Revolución y Cultura» dedicò un numero a Lezama Lima per rendergli onore nel centenario della nascita, con articoli di Abel Prieto, allora come oggi ministro della Cultura e del poeta Cintio Vitier, il principale fautore della sua “ufficializzazione”. Per leggere i contributi critici più interessanti bisogna però tornare al volume Recopilación de textos sobre José Lezama Lima, pubblicato all’Avana nel 1970, nel quale comparivano fra gli altri scritti di Mario Vargas Llosa e Juan Ramon Ribeyro, oltre al già citato testo di Cortázar. Vargas Llosa e Ribeyro convenivano sul fatto che Paradiso è un «tentativo impossibile», simile a quello di opere come Finnegan Wake di Joyce o L’uomo senza qualità di Musil, «per la smisurata, vertiginosa volontà che manifesta di descrivere integralmente, nei suoi vasti lineamenti e persino nei più reconditi dettagli, un universo forgiato da capo a piedi da un creatore dotato di un’immaginazione ardente e da una sensibilità speciale» (Vargas Llosa). Ribeyro, dal canto suo, sostiene che «il lettore ha spesso l’impressione di essere stato convocato (…) allo spettacolo di un portentoso naufragio», e che Paradiso «si situa in quell’ambito di libri eterodossi, anarchici, arbitrari, nutriti di una ricca sostanza autobiografica».
Nel 1971 su Lezama Lima calò il silenzio ufficiale del regime per tutta la durata del cosiddetto quinquenio gris, periodo nel quale la burocrazia e la censura intervennero pesantemente in ambito culturale per isolare e colpire qualsiasi forma di dissidenza. Virgilio Piñera fu rinchiuso nei campi delle famigerate UMAP (Unità Militari di Aiuto alla Produzione) e Reinaldo Arenas trascorse un anno e sei mesi nella prigione del Morro, entrambi accusati di “condotta impropria”, definizione eufemistica per l’omosessualità. Lezama Lima, pure lui omosessuale, e per di più cattolico, se la cavò con l’ostracismo nei confronti della sua persona e della sua opera: Paradiso fu giudicato scandaloso e ritirato dalle librerie. Vinse un premio in Italia ma gli negarono il visto di uscita per partecipare alla cerimonia a Roma.
In Italia il contributo critico più corposo e interessante su Lezama Lima è venuto da Francesco Varanini, che nel suo Viaggio letterario in America Latina (1998) gli dedica un capitolo mettendolo a confronto con il connazionale Alejo Carpentier. Di solito catalogati entrambi sotto l’etichetta del «barocco», non potrebbero darsi due scrittori più diversi, e Varanini contrappone il «lavoro metodico» e la «scrittura autorevole, calata dall’alto di un disegno cui niente deve sfuggire» di Carpentier, al «genio vulcanico che scappa da tutte le parti, inafferrabile, ingestibile» di Lezama Lima, per il quale «la scrittura è melodia individuale».
Julio Cortázar, fra i primi entusiastici ammiratori di Paradiso, ci ha dato un suggerimento di lettura particolarmente prezioso di questi tempi: «Bisogna leggere Lezama con lo slancio che precede il fatum, come quando saliamo sull’aereo senza domandare il colore degli occhi o lo stato del fegato del pilota».
(Pubblicato su alfabeta2)