«Ricordo una conversazione con Julio Cortázar in un bistrot parigino, a metà degli anni ‘60, un periodo nel quale ci vedevamo abbastanza spesso. La casa editrice Siglo XXI gli aveva chiesto da tempo un libro, e lui girava intorno a un’idea che gli sfuggiva. Finché quel giorno l’acciuffò. Era eccitato e contento: “Un viaggio intorno al mondo, come quello di Phileas Fogg [il protagonista di Il giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne], ma senza muovermi dalla mia scrivania. Un libro pazzo, da fuori di testa, fatto di ritagli e avanzi, come un grande collage”. Avrebbe ripreso progetti abbandonati a metà strada, riscattato testi sperduti in riviste effimere, scritto articoli, profili opastiches ispirati ai dischi, alle foto o agli oggetti che aveva intorno a sé… Quando Il giro del giorno in ottanta mondi comparve, nel 1967, nella sua genialità anarchica era anche involontariamente sedizioso poiché spezzava le frontiere fra i generi, un misto di humour e serietà, di poesia, gioco, pittura, politica e follia nel quale scoppiettavano, con allegria e insolenza, la curiosità universale e lo spirito da adolescente di quel cinquantenne che era allora Cortázar, e la sua voracità cosmopolita, la sua generosità e il suo candore.» Così sciveva Manuel Vargas Llosa a proposito del libro dello scrittore argentino pubblicato ora per la prima volta in Italia dalla casa editrice Alet nella bella traduzione di Eleonora Mogavero.