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Marcelo Cohen, L’llusione monarca

All’inizio uno sguardo percorre l’orizzonte, scende sul mare attirato dai riflessi e poi si sposta sulla spiaggia, delimitata da due muri di calcestruzzo che si inoltrano per un bel pezzo nelle acque, alti sette metri e sovrastati da filo spinato. Lo sguardo è quello di un detenuto condannato per traffico illegale di ghiandole di feti, e il carcere nel quale è stato appena trasferito è fra i più strani che si possano immaginare: le porte delle celle sono aperte sulla spiaggia, dove i prigionieri passano il tempo bighellonando e domandandosi se sia possibile fuggire a nuoto. Per il resto, la prigione somiglia a tante altre: ci sono guardie «dall’aspetto bovino e gli occhi da psicopatico», altoparlanti che impartiscono ordini in tono metallico, riflettori che di notte percorrono instancabili la spiaggia, droghe che circolano sottobanco, bande rivali capeggiate da leader «non troppo onorevoli ma forti». E la violenza scoppia per i motivi più banali, ma soprattutto per il possesso di qualcosa o di qualcuno. Si improvvisano armi appuntite limando pazientemente gusci di conchiglia, si cerca di conservare la forma fisica facendo ginnastica, oppure ci si distrae in futili occupazioni, ma i pensieri diventano ossessivi.

In una situazione del genere, dove la solidarietà è bandita e imperano la diffidenza, la prepotenza e il servilismo, lottare per sopravvivere significa ritagliarsi uno spazio vitale imponendo rispetto, darsi una disciplina e soprattutto avere un piano. Il mare però restituisce via via i cadaveri di coloro che hanno tentato di fuggire a nuoto. Ricompare anche quello di un detenuto che affermava di essere un agente infiltrato, legato mani e piedi e con dei genitali – non suoi – in bocca, issato su un cavallo.

In questo singolare microcosmo concentrazionario, al limite della verosimiglianza, Marcelo Cohen ha ambientato L’illusione monarca (tr. di Francesca Lazzarato, Gran Via, 135 pp., 14 euro), una nouvelle pubblicata per la prima volta in Spagna nel 1992 insieme ad altri quattro racconti lunghi con il titolo El fin de lo mismo. L’espressione «la ilusión monarca» è tratta da un verso del poeta peruviano César Vallejo, fra i preferiti di Cohen insieme a Rimbaud e Pessoa, e si riferisce al mare, «un’illusione di continuità che a ogni istante si disintegra in violenze». Il mare ispira del resto le pagine più liriche di questa inquietante narrazione, sia nelle riflessioni del protagonista – «l’energia criminale del mare usa nascondersi negli odori che esala» – sia in quelle dei detenuti: «In fondo al mare ci sono pesci ciechi. Il mare è una puttana smorfiosa». Quasi un controcanto alla celebre “Ode all’oceano” dei Canti di Maldoror del conte di Lautréamont: «un immenso livido, applicato sul corpo della terra».

L’indeterminatezza spaziale e temporale – una traccia dell’influenza di Kafka, peraltro riconosciuta di buon grado dall’autore – suggerisce con forza una lettura metaforica del testo, sia in senso politico stretto, in riferimento all’Argentina post-golpe, sia in senso lato: il carcere è anche mentale, esito obbligato della paura, della frustrazione e dell’incertezza esistenziali per chi vive in un mondo retto da leggi ingiuste e oppressive. Si coglie comunque l’amarezza dell’esiliato nelle scarne pagine che gettano uno sguardo oltre i confini della prigione: «Un tempo, il paese in cui si trovava il carcere ambiva a essere una nazione; ma a nutrire le nazioni è qualche variante leggendaria sull’origine, il progetto o il destino, e quel paese era solo una grande pianura dove ondate successive di uomini erano cadute come piogge di polline o pietre (…) Tra un governo e l’altro, iniquità assortite piovevano sulla popolazione come spazzatura da un sacco bucato».

Fra i pregi maggiori di L’illusione monarca risaltano l’intensità delle descrizioni, che distillano poesia, la sapiente costruzione di un’atmosfera di suspense e un uso mai scontato delle immagini, che sfiora talvolta l’ermetismo. Convinto che «la parola è lo strumento di controllo più efficace che esiste, più della paura e della polizia», come ha dichiarato in un’intervista, e che «l’unico modo per eludere questo dominio è parlare in un altro modo», Cohen si è dotato di un linguaggio assolutamente personale, spesso sorprendente, ricco di sfumature ironiche e di neologismi, un motivo in più per ammirare l’improbo lavoro della traduttrice, che si è destreggiata con estrema perizia fra il registro colloquiale dei dialoghi fra carcerati e gli accenti poetici di molte pagine descrittive, e che deve aver faticato non poco per interpretare e restituirci immagini ed espressioni talvolta enigmatiche.

Marcelo Cohen è nato a Buenos Aires nel 1951 in una famiglia slava di origini ebraiche. Nel 1976 militava nel partito comunista e, trovandosi in Spagna al momento del golpe di Videla, decise di fermarsi a Barcellona, dove è rimasto fino al 1996 e dove ha pubblicato i suoi primi sette libri. Collaboratore di importanti testate giornalistiche spagnole, argentine e messicane, traduttore di Henry James, T.S. Eliot, J.G. Ballard, William Burroughs, Ray Bradbury e Clarice Lispector fra gli altri, Cohen ha fondato l’autorevole rivista letteraria Otra parte, che dirige insieme alla moglie, la scrittrice Graciela Speranza. Catalogato spesso, sia pure con tutte le precauzioni del caso, come scrittore di fantascienza, non rifiuta l’etichetta, anche se preferisce la definizione di «sociologia fantastica». E nel prologo di una recente raccolta di saggi, ¡Realmente fantástico!, sostiene che il suo progetto letterario consiste precisamente nel «neutralizzare e limare» la distinzione fra il realismo e il genere fantastico.

Cohen ha coniato per la sua narrativa il termine novelatos, ovvero qualcosa a metà strada tra la novela, il romanzo, e il relato, il racconto. E a partire soprattutto da Los acuáticos (2001), fino al più recente Gongue (2012), ha creato un mondo particolare, il Delta Panoramico: una serie di isole-Stato sparse nel delta di un fiume (così come Onetti e Saer, memori della lezione di Faulkner, avevano ambientato alcune storie in luoghi mitici). Un mondo inventato che tuttavia, per restare fedele al suo progetto letterario, ha dotato di un glossario, di un dizionario e persino di mappe.

 

(Pubblicato su Alias il 22/1/2017)

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