Una sera Eufrasia, poco dopo aver cenato, disse a Joaquín, suo marito: «Sai? Ho l’impressione che quello che abita di fianco a noi rubi dei materiali al poveretto a cui sta costruendo la casa».
Joaquín la guardò di sbieco, cupo, con il suo occhio di vetro.
«E questa da dove la tiri fuori?»
«Perché oggi al tramonto è arrivato con il carretto carico di polvere di mattoni e coperto da sacchi, per nasconderlo».
«Non è possibile».
«Sì, perché ieri aveva delle piastrelle sotto il braccio, anche quelle avvolte in un sacco rotto. E si vedeva l’angolo».
«Allora… chissà!»
«Sì… me ne sono accorta anche quando aveva l’altro cantiere. All’inizio arrivava presto con il carretto, poi, quando stava per finire, molto più tardi, e sempre con il carretto coperto. Con quel materiale devono aver costruito una tettoia».
Taciturno, Joaquín ribatté: «Certo, così è facile costruirsi case e tettoie per fare invidia agli altri».
Poi non parlarono più. Cenarono in silenzio e l’occhio di Joaquín, commesso viaggiatore e piccolo proprietario, era immobile come l’altro di vetro.