Dalla metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta si assistette a un vero e proprio boom di pubblicazioni, a cominciare dalla collana “Nebulae”, della casa editrice Edhasa, che fece conoscere finalmente gli autori statunitensi dell’epoca d’oro, come Heinlein e Asimov, ma anche russi, francesi e qualche spagnolo come Domingo Santos. A pubblicare per la prima volta la trilogia della Fondazione di Asimov fu però una casa editrice di Barcellona, città in cui si sviluppò in quel periodo la maggior attività editoriale nel campo, con la nascita di diverse collane che ebbero diversa sorte e durata.
Da notare che non si traducevano solo autori anglosassoni, ma si ricorreva spesso anche al catalogo francese della casa editrice Fleuve Noir, senza contare che i lettori spagnoli avevano a disposizione anche diversi testi di autori latinoamericani, tra cui la famosa rivista argentina “Mas allá”, che arrivava regolarmente agli aficionados.
Negli anni Sessanta quindi cominciò a formarsi quella che potremmo chiamare la “prima generazione” di scrittori di fantascienza spagnoli, dal momento che in precedenza si erano avuti soltanto dei pionieri, individualità totalmente isolate e spesso del tutto all’oscuro di quanto si pubblicava all’estero. E così apparvero i primi racconti e romanzi firmati da Carlos Saiz Cidoncha, Luis Vigil, Domingo Santos, Antonio Ribera, Juan José Plans, Carlos Frabetti. Alcuni di questi scrittori, come Cidoncha e Santos, svolgeranno un ruolo importante fino ai nostri giorni e avremo modo di parlarne in seguito.
Frabetti, un italiano trapiantato in Spagna che diresse le collane di fantascienza dell’editore Bruguera, scrisse un’opera teatrale, Sadomáquina, che fu rappresentata per la prima volta a Barcellona nel 1969. In Sadomáquina l’umanità è schiacciata da un sistema totalitario oppressivo, una “grande Sodoma tecnologica, una gigantesca macchina cieca di cui ogni uomo è un ingranaggio, avviata verso la distruzione”; essendo ancora vivo Franco e ben saldo il suo regime, risultava abbastanza evidente la professione di fede politica dell’autore. Ma si tratta di un’eccezione. In genere gli autori di questo periodo affrontano temi classici come le civiltà del futuro, l’astronave perduta nello spazio (La nave, di un autore del mainstream, Tomás Salvador) o gli scenari postatomici, ma senza arrischiarsi ad affrontare di petto questioni ideologiche o politiche, per ovvi motivi legati alla vigile presenza della censura.
In seguito probabilmente a una saturazione del mercato, verso la fine degli anni Sessanta si verificò una crisi con la conseguente chiusura di diverse collane, ma in compenso apparve la rivista “Nueva Dimensión”. La presenza di una rivista, oltre a costituire un vero e proprio fandom, rilanciò anche il racconto, fino a quel momento un po’ trascurato a favore del romanzo. E così, insieme ai racconti, cominciarono a comparire le prime antologie: Bruguera ne pubblicò tre fra il 1967 e il 1969, e altre tre furono pubblicate da diversi editori fra il 1972 e il 1973.
Anche in questo periodo non vi sono grandi sconvolgimenti per quel che riguarda le tematiche: rimane sempre molto scarsa la presenza di opere di hard-fiction, né ebbero rilevante influenza la corrente sociologica o le varie tendenze in cui aveva cominciato a frazionarsi la science-fiction statunitense. Fra le novelas de a duro degli anni Settanta vale la pena menzionare la serie “El Orden Estelar”, firmata A. Torkent, di Ángel Torres Quesada. Fin da giovanissimo scrittore per passione, iniziò pubblicando romanzi polizieschi e di guerra, racconti del terrore, e verso la fine degli anni Sessanta si “convertì” definitivamente alla ciencia ficción, diventando uno dei più prolifici scrittori di space-opera. Fra il meglio della sua produzione la Trilogia delle isole, che prende l’avvio dal tema classico del gruppo di uomini trasferiti su un pianeta sconosciuto. Ancor oggi molto attivo, nel luglio di quest’anno [2001] ha vinto il premio per un racconto messo in palio dalla Pepsi-Cola alla XVII convention che si è tenuta a Gijón, nelle Asturie.
Uno spartiacque decisivo per la storia spagnola recente, e dunque di riflesso anche per le vicende del piccolo mondo editoriale specializzato nella fantascienza, è costituito indubbiamente dalla morte di Franco nel 1975: la progressiva scomparsa della censura ebbe per effetto la rinascita di numerose collane, ma paradossalmente all’inizio penalizzò gli autori nazionali, che assistettero impotenti all’invasione delle traduzioni di romanzi di scrittori anglosassoni.
E così, a parte un’antologia curata da Domingo Santos, e un romanzo niente affatto entusiasmante di Juan Trigo, Desierto de niebla y ceniza (1978), negli anni Settanta l’unico autore spagnolo che trovò buona accoglienza presso le case editrici fu Gabriel Bermúdez Castillo. Una studiosa francese ha scritto nella sua tesi di laurea sulla ciencia ficción in Spagna che “se Domingo Santos è l’autore della fantascienza spagnola degli anni Sessanta, Bermúdez Castillo è quello degli anni Settanta”.
Domingo Santos, pseudonimo di Pedro Domingo Mutiño, è sicuramente lo scrittore più conosciuto all’estero. Traduttore, editore, curatore di collane editoriali specializzate e direttore della rivista “Nueva Dimensión”, ha disimpegnato un ruolo fondamentale nella storia del genere. Passò anche lui attraverso il duro apprendimento del mestiere di scrittore con le novelas de a duro, ma il suo primo romanzo breve, Volveré ahier (Tornerò ieri), che trattava di viaggi nel tempo e paradossi temporali, fu respinto inizialmente proprio perché “troppo buono” per una collana di serie B. Gabriel fu tradotto in francese, svedese e giapponese. Hacedor de mundos (Fabbricante di mondi), del 1986, è la storia di un superuomo che finisce sulla Terra dopo un incidente. Tutt’ora molto attivo, ha due libri inediti: il romanzo El día del Dragón e l’antologia di racconto Esto no son historias de ciencia ficción, che usciranno in collane non specializzate.
Nel 1971 Bermúdez Castillo pubblicò un romanzo breve di sapore lovecraftiano, El mundo Hokum, e ricevette un premio speciale alla convention europea di fantascienza di Trieste dell’anno successivo. Nel 1976 uscì Viaje a un planeta Wu-Wei. In quest’ultimo romanzo, il protagonista è esiliato dalla Città, una realtà ultramoderna e ipertecnologica, sulla Terra, dove gli abitanti conducono una vita tranquilla in una società bucolica, all’insegna della filosofia orientale del Wu-Wei, secondo il principio del “non agire”. Intenzionato inizialmente a ritrovare un contatto per rientrare nella Città, alla fine il protagonista preferisce fermarsi a vivere lì insieme alle sue due mogli. L’ambientazione e l’indole dei personaggi sono tipicamente spagnole, così come in molti romanzi successivi. Bermúdez Castillo continuò a pubblicare negli anni Ottanta e fino ai primi anni Novanta (El Señor de la Rueda e Golconda nel 1986, El Hombre Estrella nel 1991 e Salud mortal nel 1993), per arrendersi poi di fronte alla difficoltà di pubblicare i suoi ultimi inediti durante una fase di contrazione del mercato editoriale di settore.
Secondo Julián Díez, critico e direttore di riviste e colane specializzate come “Gigamesh” e “Artifex”, la caratteristica forse più notevole di Bermúdez Castillo, insieme alle sue pregevoli doti stilistiche, è proprio il “sapore assolutamente autoctono” della sua narrativa. Inoltre, con lui fanno il loro ingresso ufficiale nella letteratura di fantascienza peninsulare le situazioni umoristiche e la descrizione di rapporti sessuali, che saranno poi coltivate fino ai nostri giorni.
Un altro autore che ha introdotto nella ciencia ficción un personaggio tipico della letteratura spagnola, il pícaro, ovvero un simpatico gabbamondo che vive spregiudicatamente di astuzie e piccoli imbrogli, è stato Carlos Saiz Cidoncha. Cultore principale, insieme ad Ángel Torres Quesada, della space-opera, e noto soprattutto per La caída del Imperio Galáctico, del 1978, sul tema classico della decadenza di un immenso impero galattico che ricorda per certi aspetti quello romano. Cidoncha è anche l’autore di Memorias de un merodeador estelar. Merodeador si potrebbe tradurre con “predatore”, e in effetti il protagonista di questa space-opera è un antieroe per eccellenza, cinico sostenitore di un egoismo a oltranza, ma in qualche modo riesce simpatico al lettore. Di Cidoncha, inoltre, occorre ricordare il costante impegno profuso per lo sviluppo della ciencia ficción in Spagna, tramite la collaborazione alle più svariate iniziative editoriali e associative, oltre al poderoso studio da lui dedicato alla storia e all’analisi critica del genere.
Altri autori che si erano messi in luce con alcuni racconti cominciano a trovare spazio in una collana di tascabili economici a metà degli anni Ottanta: Juan Miguel Aguilera e Javier Redal, che scrivono a quattro mani, e Rafael Marín Trechera. Aguilera e Redal pubblicano Mundos en abismos, la prima significativa prova di due spagnoli nell’hard fiction, che presenta un solido impianto e interessanti anticipazioni sul tema del fondamentalismo (Redal è biologo e si sbizzarrisce a descrivere una fauna spaziale attenendosi rigorosamente a estrapolazioni scientifiche). Il loro lavoro insieme è proseguito con Hijos de la eternidad, una continuazione della saga, e oggi questi due romanzi sono stati riediti nella Biblioteca electrónica dell’AECEF (Asociación Española de Fantasía y Ciencia Ficción) su cd-rom insieme ad alcuni racconti e illustrazioni, con il titolo Mundos en la Eternidad. Recentemente Aguilera ha firmato da solo La locura de Dios, romanzo d’avventura basato su una documentata ricostruzione storica ma con tratti fantastici che ha per protagonista l’enigmatica figura del monaco catalano Raimondo Lullo.
Rafael Marín Trechera, un autore di Cádiz nato nel 1959, dedica alla passione per la fantascienza anche il suo impegno professionale di traduttore, e dopo essersi messo in luce con alcuni racconti ha pubblicato il suo primo romanzo, Lágrimas de luz, nel 1984. Si tratta di una narrazione epica e picaresca che ha per protagonista Hamlet Evans, un poeta imbarcato su astronavi terrestri destinate a reprimere senza pietà qualsiasi tentativo di autonomia ai confini di un impero dominato da un’onnipotente corporazione. Hamlet ha l’incarico di cantare le gesta belliche dell’equipaggio, però matura una repulsione per quella vita e diventa prima uno sbandato e poi un ribelle consapevole. Dopo varie avventure e disavventure entra in contatto con un circo che è una sorta di teatro politicizzato ambulante, si innamora della ragazza-farfalla e quando il direttore del circo viene arrestato ne prende il posto per guidare la piccola tribù verso la salvezza e la libertà. In seguito, con Mundo de dioses (basato su personaggi che somigliano ai supereroi della Marvel) vinse ex equo il premio dell’UPC (Universidad Politécnica de Cataluña) nel 1991, alla sua prima convocazione.
(continua…)
(Pubblicato su “Futuro Europa”, n. 28, 2001)