Lamborghini, Lamborghini traduzioni, Traduzioni

Osvaldo Lamborghini, Tre poesie

È stato pubblicato da poco uno slimbook dell’editore argentino Fadel&Fadel che costituisce un vero esperimento. A cinque traduttori – inglese, francese, tedesco, portoghese e italiano – è stato chiesto di misurarsi con tre poesie di Osvaldo Lamborghini, uno scrittore considerato spesso “intraducibile” per un certo ermetismo delle sue opere, in versi o in prosa, e per l’uso spregiudicato della lingua. 

Io ho partorito quello che segue, a cui aggiungo gli originali e alcuni link in calce utili ai lettori italiani che intendano approfondire o approcciare la conoscenza dell’autore.


QUALCHE PALLINA DI MERCURIO

a Susana Cerdá

Quando la passione diventa forte, ma molto forte,
Il cielo tira il suo grilletto
E allora siamo perduti
Mia cara
Faremmo forse meglio a…
Oh, no, niente faremmo forse meglio a!
(Tranne quel piccolo gusto di perire nel tentativo)
Perché il problema è il nostro pastrocchio fatto apposta.
Certo: non c’è problema.
Benché (mai scrivere benché)
Perché non c’è problema?
Non domandare, cara
Sono già un po’ stufo delle tue domande
Benché!
Ti amo ugualmente al calore del dialogo
E, e non ci capiamo
Preferisco i tuoi piedi di monaca sulla bocca
“Di colui che non sa pensare”
Io
Elettrizzanti piedi di monaca
Ciascuno dei tuoi bellissimi pensieri
Lo getterò nell’immondizia
Benché!
Perché sempre sarò al tuo fianco
Milioni di fianchi
Una sola donna
Dove sei, paradisiaca?


LEGGERE VOGLIE DI INTRODURRE ALLIBITO

Leggere voglie di introdurre allibito
il logorato pene nella vetusta vagina
e adorare poi la volta celeste.
Venivano i greci, quei bambini innocenti della peste.
Accendevano il fuoco e sputavano le spine,
non in una camera d’albergo, non in questa,
che odora di mela e di pornoshow disabitato
per la più carina, per lei,
per la più bella,
per la più trina,
per la gioia:
Elena, Elena di Troia,
Madre di Dio e ballerina.

L’estasi e la dose e la rima
e una lezione da puzzola assorta
che comunque domani dovrò dare malgrado la siringa.
Mi piacerebbe essere ebreo
e astuto e transessuale come lo Spirito,
e non questo tordo, questo aedo pieno di cicatrici,
che odora d’orrore anche se si traveste da Cupido.


AVVOLTO IN UNA PACE APOCALITTICA

Avvolto in una pace apocalittica
il tipo guardava la cucina,
i fornelli, il fuoco acceso:
la cucina, tappezzata sicuramente
con fogli o pagine
di quotidiani e riviste.
Lui non aveva meritato la stella del mattino,
questo è chiaro, e non era (neanche)
il primogenito della morte.
La vita passava come un lago.
Le rive contratte, il centro muto.
Acqua cieca, povera e accerchiata.

Colui che fino a ieri diceva
beveva ora mate eternamente
e leggeva romanzi di vampiri.
Televisione e farmaci: la perfezione
è rimasta un’intenzione.
Rinascerà l’amore con la prossima guerra.
E in un allora senza allora,
con un Dio pasticcione che è sempre in ritardo,
allora si appoggerà alle sue stampelle
e aprirà il becco come un gabbiano
e sfonderà le porte del paradiso,
anticamera dell’inferno.


UNAS BOLITAS DE MERCURIO

a Susana Cerdá

Cuando la pasión se hace fuerte, pero muy fuerte,
El cielo monta su gatillo
Y entonces estamos perdidos
Mi muy querida
Más, tal vez, nos valdría…
¡Oh, no, nada nos valdría!
(Salvo este gustito de perecer en el intento)
Porque la cuestión es nuestro galimatías adrede.
Claro: no hay cuestión.
Aunque (jamás escribir aunque)
¿Por qué no hay cuestión?
No me preguntes, querida
Ya estoy un poco harto de tus preguntas
¡Aunque!
Igual te amo al calor del diálogo
Y, y no nos entendemos
Prefiero tus pies de monja sobre la boca
“Del que no sabe pensar”
Yo
Electrizantes pies de monja
Cada uno de tus hermosos pensamientos
Los tiraré a la basura
¡Aunque!
Porque siempre estaré a tu lado
Millones de lados
Una sola mujer
¿Dónde estás, paradisíaca?


LIGERAS GANAS DE INTRODUCIR PASMADO

Ligeras ganas de introducir pasmado
el remanido pene en la pátina vagina
y adorar luego la bóveda celeste.
Venían los griegos, esos niños inocentes de la peste.
Encendían el fuego y escupían las espinas,
no en un cuarto de hotel, no en éste,
que a manzana huele y a pornoshow deshabitado
por la más linda, por ella,
por la más bella,
por la más trina,
por la joya:
Helena, Helena de Troya,
Madre de Dios y bailarina.

El éxtasis y la dosis y la rima
y una clase de zorrino ensimismado
que igual tendré que dar mañana a pesar del pico.
Me gustaría ser judío
y mañero y transexual como el Espíritu,
y no este zorzal, este aeda marcado,
que huele a horror aunque se disfrace de Cupido.


ENVUELTO EN UNA PAZ APOCALÍPTICA

Envuelto en una paz apocalíptica
el tipo miraba la cocina,
las hornallas, el fuego encendido:
la cocina, empapelada ciertamente
con hojas o páginas
de diarios y revistas.
Él no había merecido la estrella de la mañana,
eso es claro, y no era (ni siquiera)
el primogénito de la muerte.
La vida pasaba como un lago.
Las orillas tensas, el centro mudo.
Agua ciega, pobre y cercada.

Aquel que ayer nomás decía
tomaba ahora mate eternamente
y leía novelas de vampiros.
Televisión y fármacos: la perfección
quedó en anhelo.
Renacerá el amor con la próxima guerra.
Y en un entonces sin entonces,
con un Dios pifio que siempre tarda,
entonces se apoyará en sus muletas
y abrirá el pico como una gaviota
y derribará las puertas del paraíso,
antesala del infierno.


Qui è possibile scaricare l’intero libro, con il prologo di Agustina Pérez, la curatrice dell’antologia:
https://drive.google.com/drive/folders/1rISK4wt121eZKdnV9Psldtb7rAXA2jfp

Qui si possono leggere (in originale e in traduzione italiana) altre poesie di Lamborghini che fanno parte del libro Il ritorno di Hartz e altre poesie, curato e tradotto da Massimo Rizzante per la Scheiwiller Libri (2012:
https://rebstein.wordpress.com/2013/06/25/il-ritorno-di-hartz/#more-57533

E qui due frammenti dell’Introduzione di Rizzante al volume:
https://www.zibaldoni.it/2013/01/22/prosa-poesia-maschio-femmina/

Infine, un profilo di Lamborghini firmato da Francesca Lazzarato nel suo blog:
http://latartarugaequestre.blogspot.com/2019/11/da-leggere-osvaldo-lamborghini.html

Di Lamborghini si può leggere anche La pianura degli scherzi, un’antologia di quattro scritti in prosa pubblicata da Miraggi edizioni e tradotta da Carlo Alberto Montalto e Vincenzo Barca nel 2019.

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Saenz, Saenz traduzioni, Traduzioni

Percorrere questa distanza

I grandi malesseri causati dalle ombre, le visioni malinconiche sorte dalla notte,
tutto ciò che è orripilante, tutto ciò che è atroce, ciò che non ha nome, ciò che non ha un perché,
bisogna sopportarlo, chissà perché.
Se da mangiare non hai che immondizia, non dire niente.
Se l’immondizia ti fa male, non dire niente.
Se ti mozzano i piedi, se ti bruciano le mani, se la lingua ti marcisce, se ti spacchi la schiena, se ti spezzi l’anima, non dire niente.
Se ti avvelenano non dire niente, neanche se ti escono le budella dalla bocca e ti si rizzano i capelli in testa; anche se annegano i tuoi occhi nel sangue, non dire niente.
Se ti senti bene non sentirti bene. Se ti fermi non fermarti. Se muori non morire. Se ti affliggi non affliggerti. Non dire niente.
Vivere è difficile; cosa difficile non dire niente.
Sopportare la gente senza dire niente non è per niente facile.
È molto difficile – in quanto pretende che la si capisca senza dire niente,
capire la gente senza dire niente.
È terribilmente difficile eppure molto facile essere gente;
ma la cosa difficile è non dire niente.



(Questi versi appartengono al poema “Recorrer esta distancia”, del 1973, che figura nel volume Immanent Visitor – Selected Poems of Jaime Saenz, A Bilingual Edition. Berkeley, University of California Press, 2002. È possibile leggere interamente il volume qui:

https://publishing.cdlib.org/ucpressebooks/view?docId=kt9m3nc9hd&brand=ucpress
Devo la segnalazione allo scrittore argentino Ariel Luppino, che ringrazio.)

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Acari o la guerra dei mondi

José Emilio Pacheco (1939-2014), di cui ho tradotto per le edizioni Sur i racconti delle raccolte Il vento distante (2014), Il principio del piacere (2015) e più recentemente l’antologia Ricordo e non ricordo (2020), che comprende anche il romanzo breve Le battaglie nel deserto, è stato soprattutto uno squisito poeta. Nella sua opera poetica, contenuta in gran parte nell’antologia Tarde o temprano (Poemas 1958-2009), pubblicata da Tusquets nel 2010, figurano molti testi che configurano un vero e proprio “Bestiario”, a partire da una sezione di No me preguntes como pasa el tiempo, del 1969, significativamente intitolata “Los animales saben”, traduzione di una frase di Samuel Beckett tratta da Come è (le bêtes savent). E a partire da lì saranno diverse le poesie di Pacheco che hanno per protagonisti gli animali, nel solco di una tradizione che risale almeno al secolo II o III della nostra era.

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Tradurre Ramiro Pinilla

Quando mi è stato proposto di tradurre La higuera (Il fico), di Ramiro Pinilla conoscevo solo Aquella edad inolvidable, storia di una promessa del calcio costretta ad abbandonare la carriera, che conserva però fino alla fine una grande dignità. Il libro era un regalo di un’amica e collega, grande estimatrice dell’autore, che da tempo me ne raccomandava la lettura.

Confesso che il numero di pagine di quello che è considerato il suo capolavoro, la trilogia di Verdes valles, colinas rojas, mi aveva spaventato, ma la curiosità era rimasta, anche perché – afflitto come sono da una concezione romantica della letteratura – provo un’immediata simpatia per gli scrittori che nella vita hanno fatto vari mestieri, che scrivono per autentica vocazione e non per rispettare scadenze, in perfetta solitudine, indifferenti ai maneggi delle conventicole editoriali. E Pinilla rientra a pieno titolo in questa schiera. Infatti ha lavorato come macchinista su una nave, poi in una fabbrica di gas e infine come redattore presso una casa editrice, mentre scriveva di nascosto e nello scarso tempo libero che gli lasciavano gli impegni familiari. Il che rende ancora più ammirevole la sua vasta opera: oltre venti romanzi e due raccolte di racconti. 

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Ho raccolto l’eredità di Pinilla

Un giorno di ottobre di tre anni fa ci lasciava, novantenne e lucido, Ramiro Pinilla. È sufficiente dire Ramiro: era così che lo conoscevamo. Era della classe di mio padre, il 1923. E non coincidevano solo nell’età. Entrambi erano legati al mondo del lavoro, che Ramiro, prima nella marina mercantile, poi in una fabbrica di gas e in una casa editrice, combinò come poté con la scrittura. Erano appassionati di calcio, uno tifava per i biancorossi dell’Atlético Madrid e l’altro per i biancoazzurri dell’Espanyol di Barcellona. È possibile che in quei colori iniziasse e terminasse la loro unica religione. Credevano inoltre in quella sinistra internazionalista, proletaria, che propugnava la fratellanza tra i popoli e i diritti dei lavoratori, e che a quel tempo non sapeva niente di bandiere regionali né subordinava i suoi principi ai sentimenti identitari. 

Ramiro e mio padre avevano vissuto la guerra civile da adolescenti, e senza avervi partecipato erano stati sconfitti. Forse in uno di quei giorni di esplosioni e di fumo i due ragazzi si erano incrociati in una strada di Bilbao. Mio padre era stato imbarcato su una nave da carico gremita di bambini rifugiati diretta in Francia. Se l’avessero portato in Russia, io non sarei nato. Ramiro si trascinò per tutta la vita il ricordo tenebroso della repressione. Decenni dopo, si ricordava ancora di quei falangisti del primo dopoguerra che rastrellavano le case di Gexto e dei dintorni in cerca di carne da mettere al muro. Ne parlò in alcuni passi dei suoi romanzi; e sono il tema centrale di La higuera, uno dei suoi testi che apprezzo maggiormente. 

Ramiro Pinilla impiegava quel tipo di umorismo sotterraneo il cui scopo originario non è provocare le risate, ma conficcare nell’interlocutore, come senza volerlo, un pungiglione di sottile ironia. Era un uomo di significati, più che di preziosismi formali. Ha lasciato detto che scriveva perché parlava poco. Una sorta di compensazione, dunque, che a mio parere non esaurisce le profonde motivazioni della sua scrittura, alla quale non difettano né la testimonianza dell’epoca né la coscienza sociale. Soprattutto nel romanzo, ma anche nei racconti, trovò la forma che meglio si adattava alle sue enormi doti di narratore. 

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