Mi è capitato di leggere tempo fa – ma non sono riuscito a verificare la notizia – che, fra le svariate clausole dei trattati di pace firmati dall’Italia dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, fu sottoscritto anche l’impegno ad acquistare dagli Usa una impressionante quantità di produzioni cinematografiche e televisive fino al 2050. Da un certo punto di vista la cosa è mostruosa, ma chiarisce perché, fin da bambino, sono stato travolto da una valanga di film e telefilm che avevano come protagonisti cowboy e pellirosse, astuti detective e perversi serial killer, sceriffi di solito razzisti, grassi e sudati, avvocati logorroici e giudici spesso corrotti, medici impareggiabili e infermiere quasi sempre sexy… (Incidentalmente, ne ho dedotto che gli statunitensi erano attenti lettori di Gramsci e delle sue teorie sull’egemonia culturale.)
A questo universo di celluloide, più che alla letteratura nordamericana, è ricorso Gianfranco Mammi per ambientare e ordire le trame del suo ultimo romanzo, Nostra Signora dei Sullivan, pubblicato da Nutrimenti con un’azzeccata copertina. L’autore non cerca di ricreare ex novo una improbabile descrizione realistica dei luoghi e dei personaggi che ci presenta: li prende direttamente dall’immaginario che condivide con i lettori: la mastodontica produzione cinematografica a stelle e strisce. La realtà scorre su uno schermo (grande o piccolo), non ci resta che rincorrerla per afferrarne qualche frammento, un’immagine. È una realtà per così dire di secondo grado, beninteso, o forse una surrealtà. Ecco: se proprio dovessi trovare un’etichetta per questo romanzo, lo ascriverei alla sempreverde letteratura d’impronta surrealista. Sono numerosi i dettagli che rivelano questa origine, mi limito a menzionare la scelta dei nomi dei personaggi: Smid, Stol, Brul, Peil, Beg, ecc., tutti assolutamente improbabil.
In una sperduta cittadina del Sud degli Stati Uniti, indicata di volta in volta con gli aggettivi più spregiativi o inattesi – spaventosa, terrificante, viziosa, stupefacente, ecc. ecc. – muore un oscuro outsider, un certo Sullivan, che viveva in una baracca ed era sconosciuto ai più, in quanto non aveva mai fatto nulla di notevole nella sua vita e neppure aveva mai lavorato, un peccato mortale nella società americana. Succede però che a questa morte ne seguono altre: cioè, è sempre lui, perfettamente identico, che si “fa ammazzare” nelle più svariate circostanze – “schiacciato come un porcospino” su una circonvallazione, stecchito per una scarica elettrica, ucciso con una pallottola nella sua catapecchia.
A confermare questo inspiegabile miracolo alla rovescia ci sono le salme che affluiscono con regolarità all’obitorio, dotate delle stesse impronte digitali e dentali e perfino dagli stessi tatuaggi, che tuttavia a un certo punto cominciano a cambiare: dapprima vipere, poi vipere e rose, infine fenicotteri e angioletti. Il mistero si infittisce. Sconcerto e fastidio si impadroniscono delle autorità, già stordite dal caldo infernale e dalle troppe pinte di birra. Anche il prete dell’unica chiesa cattolica della “nostra città” – come la chiama la voce narrante –, costantemente sorvolata da jet militari con i loro assordanti “bang”, rimane interdetto, dovendo celebrare in continuazione funerali per lo stesso defunto. Funerali seguiti soltanto dal nipote di Sullivan, che finirà per suicidarsi non potendo far fronte alle spese per le esequie, e da un paio di suoi amici dall’elevato tasso alcolico. Il lavoro per i necrofori della cittadina diventa insostenibile e bisogna ricorrere a una coppia di forestieri, due neri che ben presto assumono un ruolo centrale nella vicenda in quanto, mistici sui generis, finiscono per istituire un vero e proprio culto della figura di Sullivan.
Nella patria delle innumerevoli sette protestanti e new age la cosa non stupisce più di tanto, e finisce per diventare uno dei temi centrali e meglio articolati del romanzo, con il conseguente fenomeno di produzione su larga scala e vendita di immaginette e altre cianfrusaglie che fanno la fortuna di qualche cittadino con il fiuto per gli affari. Perché succede che in città non muore più nessuno, come se Sullivan, non smettendo più di morire, si sacrificasse per tutti gli altri; inoltre, pare esaudire i desideri dei suoi seguaci, ma anche degli scettici, in un’orgia di piccoli miracoli. Non contento, comincia a farsi vedere in giro vivo e vegeto: zombie o fantasma?
E siccome ci troviamo nel paradiso del melting pot, non possono mancare un cuoco cinese, un rosticciere messicano, un’assistente del coroner afroamericana, un agente federale italiano, mentre Gomes, il prete cattolico che diventerà uno dei protagonisti del romanzo, è mezzo navajo e mezzo portoghese.
Il rinvenimento di altri cadaveri fuori dei confini dello Stato attira le inevitabili attenzioni dell’Fbi, e così assistiamo a diatribe e dissapori fra la polizia locale e gli agenti federali, un altro luogo comune cui ci ha abituato la filmografia hollywoodiana, che di solito però ci mostra tutt’al più feroci battibecchi o al massimo qualche scazzottata. Mammi non si accontenta di così poco: un agente dell’Fbi si salverà addirittura per puro caso da un tentativo di assassinio da parte dello sceriffo e dei suoi complici. Motivo del contendere: l’inspiegabile ritrovamento di lingotti d’oro nella baracca di Sullivan.
La trama riserva vertiginosi colpi di scena e rivela un’immaginazione debordante: non c’è pagina in cui la vicenda non si arricchisca di dettagli bizzarri e tuttavia congruenti con il filo narrativo principale, che si amplia in continuazione; non c’è un personaggio – e sono tanti, più un buon numero di comparse – che non emerga con i suoi pregiudizi, le sue fisime o le sue antipatie (ma anche con i suoi soprannomi e qualche tratto somatico emblematico). Senza togliere al lettore il piacere di scoprire lo sviluppo della narrazione, mi interessa piuttosto segnalare che, dall’ironia più sottile e talvolta bonaria al sarcasmo più sfacciato, Mammi maneggia con grande padronanza tutte le sfumature dello humour; ne risulta un testo estremamente spassoso, che suscita di volta in volta un sorriso appena accennato o franche risate. Si ha l’impressione di leggere un testo costruito improvvisando (credo che Mammi sarebbe d’accordo con l’assioma di César Aira: “l’improvvisazione è l’arte della felicità”), ma poi strutturato disponendo sapientemente tutti i tasselli del puzzle.
Gianfranco Mammi è nato in Venezuela, ma vi è rimasto pochi mesi e da allora vive a Modena. Qualche misterioso influsso letterario, tuttavia, doveva presiedere al suo concepimento e alla sua nascita, perché Nostra Signora dei Sullivan potrebbe benissimo essere l’opera di un autore originario dell’America Latina.
Erano già usciti diversi volumi di racconti per piccole case editrici, fra cui: Uomini senza Mercedes e Brevi dal Nord. E alcuni su riviste come “Linus”, “Panta” e “L’accalappiacani”. Di recente è stato ripubblicato Vita di Ridolini, in una edizione con disegni dell’autore, un libro realizzato riversando sulla pagina la registrazione della voce del padre che racconta la propria vita. Ha pubblicato anche un romanzo, La scellerata, e nel 2019 si è aggiudicato con il voto unanime della giuria il Premio Malerba con il romanzo breve Ugo il duro, ritratto di un eccentrico barbone dotato di una filosofia singolare, a proposito del quale così si è espressa la giuria: “A pieno diritto Ugo il duro appartiene a questa nobilissima tradizione dell’apologo, letture che fanno pensare e che talvolta nelle vesti dell’allegoria lasciano tracce profonde di realismo. Con una prosa che manifesta ricchezza di linguaggi alti e bassi nutriti dal piacere del gioco e da una sottile e irridente comicità”. Ben detto.
Con Nostra Signora dei Sullivan, che fra l’altro è entrato nella preselezione del premio Campiello e si è piazzato subito alle spalle dei cinque finalisti, a pari merito con Nicola Lagioia, Mammi ci ha dato la sua prova migliore e più matura. Merita un buon successo di pubblico e di critica, che ripagherà solo in parte i lunghi anni di lavoro (riscritture, spostamenti, limature…) che quest’opera gli è sicuramente costata.