Mme. Pignou si fermò estasiata davanti alla vetrina di uova pasquali all’angolo fra Henri-Monnier e Victor Massé. Era da una settimana che non mangiava, non per mancanza di pane, certo, ma per golosità. Non comprava mai più di un uovo di pasqua ogni anno e digiunava per una settimana, leccandosi i baffi davanti a tutte le vetrine del distretto 9 prima di scegliere l’uovo di pasqua dei suoi sogni. Questo era quello giusto. Prese dalla loro custodia, che teneva nella vecchia borsa di pelle nera, un paio di occhiali per guardare i prezzi. Si domandò se cento voleva dire dieci franchi o mille e finalmente, ormai decisa, entrò nella pasticceria facendo squillare il campanello della cassa, che in quel momento era deserta. Una giovane prostituta, dal colorito fresco e con un barboncino sotto il braccio, entrando quasi nello stesso istante, per poco non la travolgeva. «Voglio una pizza» disse alla pasticciera, che usciva in quel momento dal retrobottega. La pasticciera avvolse la pizza in un pezzo di carta e gliela diede dicendo: «Tre franchi e cinquanta, grazie». L’altra prese la pizza e cominciò a mangiarla, dando le briciole al barboncino. «Lei che uovo di pasqua mi consiglia?» domandò Mme. Pignou alla pasticciera. «Dipende dall’età» rispose quella. «È per me» disse Mme. Pignou e sentì la risata della prostituta alle sue spalle. Mme. Pignou si voltò, indignata. «Signorina» disse la pasticciera, «le pizze si mangiano fuori, mi faccia il favore.» La giovane prostituta uscì, spingendo con un gomito la porta a vetri, e con il cagnolino nell’altra mano. «Io avevo pensato all’uovo al centro» disse pensierosa Mme. Pignou, «quello con il nastro rosa.» La pasticciera andò a prenderlo. «Ma questo è intollerabile!» gridò arrivando alla vetrina, «la ragazza sta facendo pisciare il suo cane sul mio marciapiede!» E uscì dalla pasticceria apostrofando la giovane prostituta. Mme. Pignou si avvicinò alla vetrina, ma non riuscì a sentire niente. La pasticciera gesticolava, il barboncino la morsicò al polpaccio, la giovane prostituta lo prese e fuggì con lui verso rue Frochot.
Mme. Pignou aprì la porta e andò verso la pasticciera che camminava a fatica; questa le disse educatamente: «Non è niente, signora, la ringrazio. Venga, entriamo nella pasticceria, dovremo soffrire ancora molto! E prima di tutto, chiudiamo a chiave!». Fece sedere Mme. Pignou su una sedia di fòrmica e andò a chiudere la porta a chiave. Sempre zoppicando, la pasticciera portò una sbarra di ferro e la mise di traverso sulla porta a vetri, poi si rifugiò dietro la cassa e cominciò a singhiozzare. Mme. Pignou si alzò dalla sedia di fòrmica e andò verso la vetrina. Una volta lì, nascosta dietro le file di uova pasquali, guardò a destra e a sinistra. La rue Henri-Monnier era deserta, come ogni domenica pomeriggio; soltanto la giovane prostituta, con il barboncino sotto il braccio, era ferma davanti alla vetrina della pasticceria. Quando scoprì Mme. Pignou fra le uova di pasqua, lanciò con tutte le sue forze contro la vetrina il pezzo di pizza che le restava, che rimase lì appiccicato; Mme. Pignou ebbe come un sussulto. Dietro la pizza, che scivolava lungo la vetrina, la giovane prostituta rideva a crepapelle. La pasticciera singhiozzava sempre più forte. «È mia figlia!» riuscì a farfugliare. Mme. Pignou cercò nervosamente gli occhiali nella loro custodia, guardò dapprima la giovane prostituta, che le faceva delle smorfie e con la sua lunga lingua leccava la pizza appiccicata al vetro. Poi Mme. Pignou, attraversando la pasticceria, osservò i lineamenti della pasticciera scossa dai singhiozzi dietro la cassa. Mme. Pignou sentì il sudore freddo della paura percorrerle la spina dorsale. Si rimise a sedere sulla sedia di fòrmica. La pasticciera andò verso di lei zoppicando e le disse: «Si sente bene, madame?»; per la prima volta si rendeva conto dell’età avanzata di Mme. Pignou ed ebbe paura di un possibile infarto. Mme. Pignou però aveva un cuore forte. Con la massima fermezza possibile disse: «Sto bene, grazie». Questo servì da pretesto alla pasticciera per riprendere a singhiozzare e alla giovane prostituta per cominciare a dare pugni e calci contro la vetrina, fino a far tremare le uova di pasqua esposte, il che fece infuriare la pasticciera, che si precipitò verso il vetro gridando: «Sporcacciona! Sporcacciona!» e adottando gli stessi gesti dell’altra, dall’altro lato della vetrina. Mme. Pignou prese un fazzoletto di pizzo dalla sua borsa e si asciugò la fronte; sul fazzoletto rimasero tracce di polveri bianche. In quel momento sentì il pianto di un neonato nel retrobottega, voleva avvertire la pasticciera, ma dalle labbra non le usciva una parola, era diventata completamente muta. Un neonato comparve gattonando da dietro il bancone, in uno stato di sporcizia indescrivibile e coperto di cioccolato fino ai capelli. Era una bambina. Si trascinò verso Mme. Pignou e si aggrappò alla sua sottana, macchiandola di cioccolato. La pasticciera si precipitò su di lei e la schiaffeggiò violentemente. «Nadia, Nadia» gridava, «vuoi smetterla di molestare la signora?» Prese in braccio la piccola ed entrò zoppicando nel retrobottega. La giovane prostituta schiacciò la guancia contro la vetrina e cominciò a piangere a dirotto. «Un’altra disgrazia» disse la pasticciera tornando dal retrobottega, «non solo mi ha lasciato la sua creatura, oltre tutto viene a battere davanti alla pasticceria!» Mme. Pignou tossì e recuperò l’uso della parola. «Lei era nella pasticceria all’angolo fra rue de Martyrs e Victor-Massé?» le domandò. La pasticciera si mostrò sorpresa. «Sono stata lì come apprendista fino a diciott’anni» rispose. «Mi ricordo di lei» disse Mme. Pignou. «Lei era l’orfanella con gli occhiali.» «Lei è del quartiere?» domandò stupidamente la pasticciera. «Lo frequentavo in altri tempi» disse Mme. Pignou. Guardò intorno a sé le uova di pasqua sistemate in strette file su piccole mensole che arrivavano quasi al soffitto. Per i suoi occhi affaticati, tutte le uova si confondevano tra loro; tirò fuori gli occhiali. In effetti, tutte le uova erano simili: circa quindici centimetri di altezza; tuttavia, differivano in un punto: alcune avevano un nastro rosa e altre un nastro azzurro. «Il rosa è per le bambine e l’azzurro per i maschietti» disse la pasticciera, come se avesse indovinato i suoi pensieri. Mme. Pignou si portò in modo automatico la mano alla gola e si tolse lo stretto collare di velluto nero che la circondava, poi si toccò il mento cosparso di cipria e i radi capelli di un bianco immacolato. Si appoggiò al bastone per alzarsi e andò a guardarsi in uno specchio collocato fra due uova di pasqua. Rimase così per quasi un minuto, osservando la scena che si svolgeva ora nella pasticceria, senza riuscire a crederci del tutto. La giovane prostituta si era messa a pisciare sul marciapiede (per farlo si era sollevata la gonna di lamé, sotto la quale non portava niente, e il barboncino intanto leccava l’orina che lei spargeva), la pasticciera era andata a cercare la bambina nel retrobottega e tornava con quella in braccio. Attraverso lo specchio Mme. Pignou si rese conto che la bambina non era ricoperta di cioccolato, bensì era nera. Un nastro rosa sfolgorante le adornava i capelli crespi. «È con un negro che ha peccato” disse la pasticciera, scuotendo la bambina per zittirla. Mme. Pignou si disinteressò della scena.
Scrutò i propri occhi nello specchio e non vide altro che due mosche su un uovo, si sistemò meglio gli occhiali, osservò e vide la cataratta: l’azzurro con intorno terra di Siena si confondeva con il bianco di zinco, e al centro un piccolo punto nero. Cercò di fissare quel piccolo punto nero, ma fu impossibile. «Sto diventando vecchia» disse ad alta voce. «Lei è fortunata, madame» ribatté immediatamente la pasticciera. «Lei almeno vive in pace.» E la bambina ricominciò a piangere. «Anch’io battevo per strada, ora sono una vecchia» disse Mme. Pignou. La pasticciera non la stava ascoltando. Scuoteva la bambina per farla tacere. Mme. Pignou socchiuse gli occhi, sforzandosi di riconoscere nello specchio la faccia altera di altri tempi, quando andava su e giù per rue de Martyrs in cerca di un uomo che le riempisse il salvadanaio. Si ricordò dell’ultimo, M. Pignou, che l’aveva tirata fuori dalla miseria e le aveva lasciato un piccolo appartamento di due stanze a un quinto piano senza ascensore di rue Houdon. Tutto quello che lei aveva risparmiato nel frattempo era andato a sua figlia, che era né più né meno che la pasticciera che vedeva nello specchio. «Quanto costa l’uovo?» domandò. «Nastro azzurro o nastro rosa?» domandò a sua volta la pasticciera. «Rosa» disse Mme. Pignou. «Rosa ce ne sono diversi» disse la pasticciera, «tenga, regga qui.» E le passò la piccola mulatta, che ricominciò a piangere un’altra volta. Mme. Pignou non aveva mai preso un bambino fra le braccia. Si lasciò cadere sulla sedia di fòrmica e se la strinse contro molto forte, il che irritò la piccola, che prese a graffiarla crudelmente in faccia, ma il timore di farla cadere era troppo forte in Mme. Pignou per poter reagire. La pasticciera, dal canto suo, era andata nel retrobottega e ora tornava con un fucile da caccia. Lo puntò contro la vetrina e sparò molte volte, le uova si sbriciolarono. La giovane prostituta lanciò un grido e andò a nascondersi dietro un’automobile. «Mi è sfuggita quella gran puttana!» urlò la pasticciera. «Peccato, non ho più cartucce!» La giovane prostituta spuntò da dietro l’auto e scagliò un sanpietrino contro la vetrina, che andò in mille pezzi. Mme. Pignou fu raggiunta da una scheggia di vetro alla fronte. Strinse ancora più forte a sé la piccola Nadia, che strillava sempre più forte, e andò a nascondersi dietro il bancone, tra i sacchi di farina. La piccola, fortunatamente, non era ferita, ma la fronte di Mme. Pignou sanguinava abbondantemente. Sporse la testa dietro il bancone proprio nel momento in cui la giovane prostituta, lanciando un grido di guerra indio, penetrava all’interno della pasticceria attraverso il varco aperto nella vetrina. Estrasse un coltello automatico dalla scollatura e pugnalò selvaggiamente alla gola la pasticciera, la quale, gemendo, tentando di aggrapparsi alle mensole, se le rovesciò tutte addosso. La giovane prostituta si accanì ancora sul corpo della pasticciera, conficcandole varie volte il coltello nel ventre e nella schiena; l’altra finì per affogare in un mare di sangue. La giovane prostituta si alzò lentamente, appoggiandosi al cadavere della pasticciera, e con il dorso della mano coperta di sangue si gettò indietro il ciuffo biondo che le cadeva sulla fronte. «Ecco!» disse e sputò sul cadavere della pasticciera, rifilandole inoltre un calcio in faccia. La piccola Nadia, fra le braccia di Mme. Pignou, batteva le mani e si sbellicava dalle risate. La giovane prostituta crollò sulla sedia di fòrmica e si mise a singhiozzare sporcandosi le guance con le mani che grondavano il sangue della pasticciera. Poi ne ricoprì il corpo con i sacchi di farina e li spruzzò di rhum. Mme. Pignou stringeva così tanto contro di sé la piccola Nadia che ebbe paura di soffocarla. «Adesso esco» si sentì dire con voce ferma. La giovane prostituta non la udì. Andò a cercare una scatoletta di fiammiferi dietro la cassa ridendo come una pazza: incendiò il rhum spruzzato sui sacchi, che cominciarono a bruciare all’istante, e si mise a saltare tra le fiamme, lanciando urla. Mme. Pignou ritrovò la vivacità giovanile, si precipitò sulla sua vecchia borsa di pelle nera caduta per terra e vi introdusse la piccola mulatta. Si accinse a uscire dalla vetrina. La giovane prostituta si era trasformata in una torcia ardente che correva in tutte le direzioni, sbattendo contro gli specchi e mandandoli in frantumi. Mme. Pignou si fece coraggio e attraversò la pasticceria con la sua borsa in cui aveva messo la piccola Nadia sotto il braccio. Fu sul punto di cadere inciampando nel cadavere della pasticciera. Finalmente riuscì a scavalcare la vetrina e si lasciò cadere fuori. Le fiamme avevano ormai raggiunto tutta la pasticceria e dall’interno cominciava a diffondersi un’immensa nuvola di fumo. Trascinò per qualche metro la borsa che conteneva la piccola Nadia, si sedette sul marciapiede e l’aprì. Dalla borsa uscì una densa nube di fumo, la piccola Nadia era morta soffocata. Mme. Pignou la depositò nell’acqua del canale di scolo, che scorreva in abbondanza. Si rialzò appoggiandosi al paraurti di una delle auto parcheggiate e si voltò per osservare la vetrina della pasticceria: le fiamme avevano già raggiunto i due metri di altezza. I vicini uscivano a curiosare, si udivano le sirene dei pompieri. Mme. Pignou riprese il suo portamento di un tempo per percorrere i pochi metri che la separavano dall’incendio. Una volta davanti alla vetrina, ebbe un momento di esitazione. Un’esplosione fece saltare per aria quel poco che ne restava. L’interno della pasticceria era come una marmitta di cioccolato bollente. I cadaveri della pasticciera e della giovane prostituta vi galleggiavano in mezzo. Un fumo denso usciva dal retrobottega. Mme. Pignou si sfregò gli occhi e vide in mezzo al fumo la faccia di sua madre, lavandaia del Canal St.-Martin, che non aveva potuto conoscere. Vide la faccia della madre come in un medaglione, proprio come se l’era sempre immaginata. I pompieri fermavano i loro mezzi davanti alla pasticceria. Mme. Pignou proseguì per la sua strada, arrivò all’angolo di rue Frochot e si voltò. Le fiamme si erano estese a tutto l’edificio, c’erano feriti gravi; cercavano di rianimare la piccola Nadia con una bombola d’ossigeno. Mme. Pignou tirò fuori i suoi occhiali per vedere la scena più da vicino. I cadaveri della pasticciera e della giovane prostituta erano stati deposti su due barelle e caricati su un’ambulanza. Quanto alla piccola Nadia, l’équipe di medici si sforzava di salvarla, i vicini si precipitavano a offrire il loro sangue. Mme. Pignou raccolse la sua borsa, lasciò cadere gli occhiali. Risalì faticosamente rue Frochot, piena di lividi, il suo vecchio abito nero ridotto a brandelli, un bernoccolo sulla fronte e la faccia tutta insanguinata. Arrivata a Place Pigalle, andò a rinfrescarsi la faccia alla fontana. La donna che vendeva i giornali della domenica venne a vedere cosa le succedeva e la rimbrottò: «È caduta un’altra volta nel canale di scolo, Mme. Pignou, lei è incorreggibile!». Mme. Pignou scosse la testa da sinistra a destra e indicò con mano tremante la colonna di fumo che si vedeva salire all’inizio di rue Frochot; la giornalaia, lanciando un grido, si diresse di corsa verso il luogo del sinistro. Da Place Clichy arrivavano diversi mezzi dei pompieri. «Non è vero» disse fra sé Mme. Pignou. Raccolse da terra il suo uovo di pasqua, che le era caduto, e salì a casa sua, un quinto piano di rue Houdon. Si sedette a tavola e si sbafò l’uovo in tre minuti.