Recensioni

Letture estive / 1

César Aira, Las conversaciones, Beatriz Viterbo, 2008.

 

“Ho sempre diffidato di quegli intellettuali che ignorano l’esistenza dei Rolling Stones.”

 

Non è facile intercettare tutta la produzione letteraria di Aira via via che viene pubblicata. Da un po’ di tempo in qua pubblica 3-4 delle sue “novelitas” all’anno. Questo romanzo, per esempio, che risale al 2008, mi era sfuggito. Si inserisce in una serie ideale inaugurata da “Cumpleaños”, del 2001, proseguita con “Fragmentos de un diario en los Alpes”, del 2002, e con “Como me reí”, del 2005. Tutti questi romanzi sono accomunati da una forte impronta autobiografica e da un tono diaristico, e l’autore si presenta senza più indossare la maschera dello scienziato pazzo (“El congreso de literatura”, “Las curas milagrosas  del doctor Aira”) o dello scrittore ubriacone, frivolo e drogato (“Embalse”). E non ricorre nemmeno alla deformazione di episodi dell’infanzia (“Come diventai monaca”, “El tilo”), ma si limita a presentare un contesto – le conversazioni al bar con gli amici intellettuali e le laboriose riflessioni notturne su queste conversazioni – del tutto plausibile e verosimile, per una volta lontano da incursioni di alieni (“I fantasmi”, “Il marmo”) e da trasformazioni fantasmagoriche (“La serpiente”, “Las noches de Flores”).

Succede che questi due amici, abituati ad affrontare nelle loro conversazioni temi elevati di carattere artistico, letterario e filosofico, discutono, non senza un certo imbarazzo iniziale, di un film che entrambi hanno visto – a spezzoni – in tv la sera prima. E dapprima si fissano su un dettaglio: secondo la voce narrante, la presenza di un Rolex al polso di un pastore di capre ucraino è un errore marchiano, ma l’amico vede le cose diversamente, arrivando a sostenere che è voluta e perfettamente coerente con il vero messaggio del film. (È una vecchia tesi – paradossale, va da sé – di Aira: la comunicazione, più che sulla reciproca comprensione, si regge sull’equivoco, sul sottinteso e sul malinteso. Concezione probabilmente mutuata da Baudelaire, come ci ricorda Adrián Bravi in un libro di cui voglio parlare prossimamente, “La gelosia delle lingue”.)

 

La diatriba fra i due amici sui rispettivi punti di vista implica la ricostruzione degli spezzoni di film visti da ciascuno dei due, e qui si dispiega la sottile ironia di Aira nell’analizzare i meccanismi dell’industria cinematografica. In assenza di una trama vera e propria – la ricostruzione della conversazione, con tutti gli impacci dei “buchi di memoria”, i dubbi e le perplessità, è una fine e spassosa riflessione filosofica, più che un romanzo  –, Aira si impossessa della trama zoppicante del film: azione, avventura e humor sono dunque assicurati sotto forma di flash-back, con relativi scarti temporali. Può permettersi di metterci anche una realistica cospirazione internazionale: la “cattura” dell’Ucraina nel blocco occidentale tramite un colpo di Stato e l’indebitamento con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. E per non venir meno alla sua verve fantastica, si inventa una storia di alghe tossiche mutanti, mentre, partendo dalla discutibile identità attore/personaggio, sviluppa uno dei suoi temi più frequentati: il rapporto fra realtà e fiction. Infatti, l’attore che impersona il pastore di capre è una star cinematografica, di Rolex può permettersene a dozzine, e se il personaggio che rappresenta fosse in realtà una spia, ecco spiegato il motivo della presenza dell’orologio al suo polso…

 

“Questo film, l’avevamo visto entrambi in modo frammentario; la noia e lo zapping, sommati alle distrazioni domestiche, ci avevano fatto vedere scene diverse (…) Ma non occorreva altro, quelle produzioni stereotipate di Hollywood si indovinano a partire da una sequenza o due, come i paleontologi ricostruiscono un dinosauro a partire da una sola vertebra. Se continuiamo a guardare, è per confermare ciò che sappiamo già, conferma che, bisogna riconoscerlo, comporta il suo piacere.”

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