Sosteneva un’amica su twitter qualche tempo fa che il titolo originale di un’opera dovrebbe essere tradotto fedelmente (Non ricordo se abbia usato l’espressione “alla lettera”, ma lo ritengo poco probabile.) Sta di fatto che, riflettendo su questa affermazione, sono riandato con la memoria a una serie di titoli di romanzi che ho tradotto, e sono arrivato alla conclusione che non sempre è possibile (o opportuno) tradurre un titolo “fedelmente”. Porterò qualche esempio.
Nel 2007 è uscito per la casa editrice e/o un romanzo dello spagnolo Juan Madrid il cui titolo originale era Un pájaro en la mano. Per i non ispanofoni: un pájaro è un uccello. Si può immaginare l’effetto di questo titolo tradotto letteralmente sul lettore italiano, il quale non è tenuto a sapere che allude a un refrain spagnolo: “Más vale un pájaro en la mano que ciento volando”, la cui consueta trasposizione italiana sarebbe: “Meglio una gallina oggi che un uovo domani”. Bene. Ma è plausibile un titolo come: Meglio una gallina oggi? Sconcerto del lettore, che in libreria ha preso in mano quello che gli è stato presentato come un noir. Soluzione? Essendo una storia di poliziotti corrotti, ho proposto Mele marce, a cui l’editore ha apposto un sottotitolo che non guasta e serve a chiarire ulteriormente di che cosa si tratta: “Marbella noir”.
Per proseguire la rassegna con e/o, nel 2011 esce un romanzo del colombiano Santiago Gamboa. Titolo originale: Necropolis. Peccato che non sia possibile usarlo, perché nel 2008 è stato pubblicato Necropoli, un libro di memorie di Boris Pahor. La soluzione in questo caso è stata ancora più facile, in quanto suggerita dalla voce narrante, che a un certo punto menziona un libro che intende scrivere e di cui ha già chiaro il titolo: Morte di un biografo. Oltre tutto, rimanda a uno degli episodi clou del romanzo, che si svolge durante un congresso di biografi, quando un relatore viene trovato morto in circostanze misteriose.
Sempre restando a e/o, è curioso il caso dello scrittore argentino Sergio Bizzio. Il suo romanzo, uscito nel 2010, si intitolava Realidad, Realtà. Ma non è un romanzo filosofico, e il minimalismo del titolo mi è sembrato davvero eccessivo. Si parla dell’assalto al set della trasmissione televisiva Grande Fratello (ebbene sì, il format è stato esportato anche in Argentina) da parte di un commando di jihadisti. Ma l’autore non era d’accordo sull’idea di un sottotitolo che recitasse “Assalto al Grande Fratello”, che infatti non figura in copertina, ma fa capolino nelle pagine interne. Azzeccata la decisione dell’editore di scegliere come titolo definitivo Reality, che almeno rimanda al medium televisivo.
Un caso di estrema libertà nel tradurre il titolo. Nel 2004 la casa editrice Eleuthera ha pubblicato un libro del giornalista uruguayano Carlos Amorín, Storia de Sara y Simón. Di fronte a un titolo del genere io tirerei dritto senza pensarci su due volte. Sarà una storia tipo Giulietta e Romeo? Mi accontento di Shakespeare. Si dà il caso invece che si tratti di madre e figlio, che divennero famosi in Uruguay perché al centro di una vicenda drammatica: si rincontrarono dopo venticinque anni di separazione. Simón era stato strappato dalle braccia della madre – arrestata in quanto militante di sinistra – ancora neonato, e poi adottato dalla famiglia di un militare senza figli. Cose che succedevano, e non di rado. Di eccezionale, nel caso di Sara e Simón, c’era il fatto che si fossero ritrovati, e che il figlio avesse accettato di riprendere i contatti con la vera madre, della cui esistenza era sempre stato all’oscuro. A quel punto ho pensato a un titolo che dicesse qualcosa al di là dei nomi dei protagonisti, del tutto sconosciuti da noi, e che si centrasse sul tema del libro, e ho associato all’infanzia la traduzione italiana dell’espressione guerra sucia: La guerra sporca contro i bambini, che mi sembra tuttora di un certo impatto. “Storia di Sara e Simón” è rimasto come sottotitolo.
Per la casa editrice Sur, nel 2014 ho curato un’antologia di racconti di Roberto Arlt. Sul titolo, che l’editore ha accettato senza battere ciglio, non ho mai avuto dubbi: Scrittore fallito, sia perché Arlt lo aveva scelto come primo racconto della raccolta El jorobadito, sia perché si tratta di un vero e proprio “manifesto” di una poetica, di cui gli altri racconti, in un modo o nell’altro, costituiscono altrettante declinazioni.
Sempre per Sur, uno dei romanzi che ho tradotto di César Aira – gli altri, a proposito di minimalismo, non erano problematici: I fantasmi e Il marmo – si intitolava Varamo. È il cognome del protagonista, ma questo si scopre soltanto leggendolo. Suona abbastanza misterioso, potrebbe anche essere il nome di una località; e poi: Vàramo o Varàmo? Convinto che fosse molto “debole” come titolo – per niente suggestivo e poco “attraente” – avevo proposto all’editore di utilizzare il titolo del poema che farà di Varamo, un impiegatuccio che non ha mai scritto versi in vita sua, un maestro delle avanguardie letterarie: Il canto del bambino vergine. Non ha convinto l’editore, e la scelta è caduta invece su Come imbalsamare animaletti mutanti, che mi piace per vari motivi: descrive una delle scene clou del romanzo – evocata anche dall’illustrazione in copertina: un pesce che suona il pianoforte –, è di sicuro impatto – l’aggettivo “mutanti” incuriosisce –, e si situa nel solco di altri titoli di Aira: Cómo me hice monja (che ho tradotto a suo tempo per Feltrinelli con Come diventai monaca) e Cómo me reí.
E veniamo alle note dolenti, laddove sarebbe stato necessario restare fedeli all’originale, ma gli editori hanno deciso di fare di testa loro, con esiti catastrofici. De la elegancia mientras se duerme (prima edizione 1925) è il titolo di un romanzo del Visconte di Lascano Tegui, scrittore avanguardista argentino. Perfetto. Infatti è stato ripreso tale quale in tutte le traduzioni. Fa riferimento a un passo del libro e ne evoca certe atmosfere, oltre a conservare una patina d’“antico” perfettamente coerente con i temi trattati. Per capire la portata della sciagurata decisione dell’editore, che a mia insaputa gli ha apposto il fuorviante titolo Sogno senza fine, basti pensare che inizialmente l’autore aveva in mente Oraciones a Nuestra Señora de la Sífilis. Si tratta infatti, come ho cercato di illustrare nella postfazione, di una sorta di compendio di tutte le trasgressioni di fine Ottocento: feticismo, travestitismo, omosessualità, pedofilia, zoofilia, cambiamento di sesso, prostituzione, malattie veneree, ecc.
Ora, Sogno senza fine fa pensare a tutt’altro, così come l’abusata illustrazione di copertina – io avevo proposto un quadro di Lucien Freud. Invece di un’immagine suggestiva, abbiamo una frase che suona come un luogo comune. Sembra rivolgersi a fanciulle in fiore in cerca di storie d’amore romantiche… E immagino la sorpresa di queste incaute acquirenti quando, già a p. 11, si sono imbattute in un passo del genere: “Ho rivisto le capre bianche. Una delle due mi ha guardato. Ha occhi da signorina. La sera era silenziosa e dentro di me ho sentito un caprone che la comprendeva. Le capre sono gli animali che sento più vicini, non ho potuto fare a meno di rispondere a quello sguardo e mi sono avvicinato alla più bella, la cui mammella rosa è un seno di donna”. E nel frammento successivo, a proposito dello sguardo che gli lancia la capra: “Quello sguardo mi ha fatto innamorare ancora di più. Non ho mai sentito un desiderio tanto forte di abbattere una porta o di scalare un muro”. Sogno senza fine? Ma mi faccia il piacere! (Esiste un romanzo nella collezione Harmony con lo stesso titolo, e lì probabilmente ci sta bene.) Nel 2015 lo stesso editore ha ripubblicato il libro con il titolo Dell’eleganza mentre si dorme, e ha avuto anche la brillante idea di cambiare leggermente il nome dell’autore, non più Visconte di Lascano Tegui, ma Emilio Lascano Tegui. Che furbata eh?
Un altro caso che mi ha provocato grande sconforto. Nel 2009 ho tradotto per Elliot un noir di uno scrittore argentino, Juan Damonte. Titolo originale, Chau, papá. Traduzione ovvia, banale e scontata: Addio, papà. Titolo scelto dall’editore: Ciao papà. La frase viene rivolta dal protagonista all’uomo che gli ha appena rivelato di essere il suo vero padre. I due sono rintanati in un appartamento, ma vengono presi a cannonate e per loro non c’è scampo. Perciò il protagonista dice addio al padre. Non gli sta dicendo: ciao papà, come va oggi? E nemmeno: ciao papà, vado a prendere le sigarette e torno… Gli sta dicendo addio. Punto. Niente da fare. Per l’editore è un “ciao”. Chissà sulla base di quali elucubrazioni…
Quanto può influire un titolo sulla decisione d’acquisto da parte dei lettori? Difficile dirlo, c’è chi compra un libro perché è di un certo autore, chi si fida delle scelte di certi editori e si affeziona al marchio, chi rimane colpito dall’immagine di copertina… Mi sembra però di poter dire che un titolo azzeccato aiuta, mentre uno zoppicante o sbagliato penalizza.
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