Virgilio Piñera nacque a Cárdenas, Matanzas (Cuba) nel 1912, figlio di un agrimensore e di una maestra. La sua famiglia visse a Guanabacoa e Camagüey, sempre in difficili condizioni economiche. Nel 1940 Piñera iniziò gli studi di Lettere e Filosofia all’Avana (la sua tesi di laurea, mai presentata, era su Gertrude Gómez de Avellaneda). Nel 1941 pubblicò il suo primo libro, di poesia, Las furias. Dello stesso anno è la sua prima opera teatrale, Electra Garrigó, un’anticipazione del “teatro dell’assurdo” nonché uno dei suoi migliori lavori. (La ARTYC, Agrupación de Redactores Teatrales y Cinematográficos la mise all’indice e per parecchi anni non venne più messa in scena.) In quel periodo cominciò anche a collaborare alla rivista Orígenes. Nel 1943 pubblicò La isla en peso, lunga e straordinaria poesia i cui versi iniziali, “La maledetta circostanza dell’acqua da ogni parte / mi obbliga a sedermi al tavolo del caffè”, danno un’idea compiuta dell’atmosfera di tutta la sua opera. Il suo perfetto oppositore all’interno del gruppo di Orígenes, di cui Piñera in realtà non fece parte, il cattolico e lirico Cintio Vitier, lo descrisse come “poeta freddo della desolazione fisica e dalle nefaste meditazioni”, che, tolta l’antipatia che trasmette, è una buona definizione. Nei volumi El conflicto (1942) e Poesía y prosa (1944) comparvero i suoi primi racconti. El secreto de Kafka (1945) è di carattere saggistico (Piñera non riunì mai in volume i suoi numerosi ed eccellenti saggi e articoli).
Nel 1944 si recò per la prima volta a Buenos Aires (con una vaga borsa di studio per studiare la “poesia iberoamericana”), dove avrebbe vissuto, salvo un paio di brevi ritorni a Cuba, fino al 1958. Ebbe un modesto impiego presso il consolato cubano, fece traduzioni, lavori editoriali, e collaborò con quotidiani e riviste. Da Buenos Aires fu segretario di redazione della rivista Ciclón, finanziata dal suo amico Rodríguez Feo. L’avvenimento più memorabile della sua permanenza in Argentina fu l’amicizia con Gombrowicz; Piñera presiedette il “Comité” che tradusse Ferdydurke (ne faceva parte anche un altro esiliato cubano, Humberto Rodríguez Tomeu). Presso case editrici argentine furono pubblicati il suo primo romanzo, La carne de René (1952) e i Cuentos fríos (1956). In quest’ultimo volume si trova il lungo racconto “El Muñeco”, avatar meccanicista e onirico del “romanzo del dittatore”. I racconti di Piñera sono sempre strani, sinistri, prodighi di mutilazioni e vari orrori, sempre impavidi, come incubi logici. Sono celebri, fra gli altri, “El caramelo”, molto kafkiano, “El que vino a salvarme”, “El filántropo” (un banchiere che concede al protagonista il dono di un milione di pesos se scriverà un milione di volte la frase “Voglio un milione di pesos”), “El álbum”, nel quale, come in altri, si può notare una curiosa affinità con Silvina Ocampo, e “El caso Baldomero”, quasi un romanzetto poliziesco con la caratteristica che è l’assassino quello che cerca di dimostrare la propria colpevolezza al tenace detective… e non ci riesce, perché ha commesso un delitto perfetto e tutte le tracce che potrebbero incriminarlo sono state cancellate.
Nel 1952 uscì a Buenos Aires il suo romanzo più famoso, La carne de René, uno sviluppo estremo della tipica struttura narrativa di Piñera: minaccia, persecuzione, trappola, paura e fuga. Il tema, la carne, viene modulato in tutti i suoi aspetti mediante una sinuosa meccanica che è inevitabile definire “kafkiana”. La scelta del tema è sostanziata dal fatto che Piñera era vegetariano. Si svolge in una città coperta dalla neve (è una tradizione degli scrittori cubani, da Julián del Casal a Sarduy, quella di ricorrere alla neve per creare un distanziamento che per un motivo o per l’altro è sempre stato necessario), fra reinvenzioni, visioni oniriche, ricominciamenti, come un romanzo di formazione disarticolato. Lo stile di Piñera, che qui ha il suo momento migliore, è asciutto, funzionale, antibarocco.
Nel 1958 rientrò definitivamente a Cuba. Nel 1960 fu pubblicata una compilazione del suo Teatro completo, che comprende Aire frío, il suo capolavoro nel genere, dramma autobiografico che segue la storia di una famiglia cubana lungo l’arco di vent’anni, una storia che secondo l’autore è troppo assurda per essere raccontata in altro modo che secondo un rigido realismo. (Complessivamente Piñera scrisse venti opere teatrali.) Del 1963 è il suo romanzo Pequeñas maniobras, con evidenti tracce di Gombrowicz e un esaustivo riassunto della filosofia piñeriana del fallimento e della paura. Il protagonista fugge in continuazione, fugge dagli effetti che qualsiasi azione può provocare, e mostra l’inventiva di un romanziere per presupporre tali effetti. “Non bisogna farsi illusioni: sono stato messo al mondo per una sola cosa; per nascondermi, per aver paura, per fuggire a ogni costo, per fuggire, anche se in fin dei conti non devo fuggire da niente”. Con brevi frasi al presente, annotazioni tattiche della sua guerra personale, costruisce una sorta di epica della fuga, che non esclude la fuga dalla dimensione umana.
Nel 1964 fu pubblicata un’antologia di Cuentos, nel 1967 il suo terzo romanzo, Presiones y diamantes, nel 1968 l’opera teatrale Dos viejos pánicos vinse il premio Casa de las Ámericas, nel 1968 uscì una raccolta di poesie giovanili, La vida entera, e nel 1970 fu pubblicata a Buenos Aires, con il prologo di José Blanco, un’ampia raccolta di racconti, El que vino a salvarme. Malgrado il suo prestigio internazionale, Piñera subì un crescente isolamento a Cuba, e diverse vessazioni da parte del regime castrista: da La vida entera la censura eliminò la poesia “Paseo del caballo”, perché “caballo” era il popolare soprannome di Fidel Castro, nonostante la poesia risalisse al 1941; ed ebbe problemi con il romanzo Presiones y diamantes, che è un curioso esperimento, fallito in linea generale, tra la fantascienza e l’allegoria politica: in una delle città imprecisate caratteristiche di Piñera, il narratore assiste, e combatte svogliatamente, lo sconforto di un’umanità che soffre “pressioni” tanto minacciose quanto vaghe, da cui evade giocando a canasta o facendosi ibernare, o mettendosi a letto, o dentro grandi preservativi nei quali alla fine ci si getta in mare: un’anticipazione dei balseros. Un’altra anticipazione profetica è l’episodio con cui inizia il romanzo: la svalutazione di un famoso diamante, il Delphi, del valore di milioni, che finisce per essere venduto per 100 dollari e poi gettato nel water. A quanto pare questa parte sarebbe stata scritta negli anni Quaranta, e in ogni caso nel 1967 Fidel era ben lungi dall’essere svalutato. (Questi ritorni al vesre [o revés: Del-phi = Fi-del] deve averli imparati a Buenos Aires; compaiono varie volte nella sua opera.)
Negli anni successivi non poté più pubblicare e visse di diversi espedienti in grande povertà. Morì all’Avana nel 1979. La sua riabilitazione postuma è stata molto lenta e faticosa. Nel 1987 fu pubblicata un’antologia di testi inediti, Muecas para escribientes; nel 1988 la raccolta delle sue ultime poesie, Una broma colosal (la lunga poesia che da il titolo al volume è una delle sue più belle); nel 1994 apparve in Messico un’antologia, Poesia y crítica, curata dal suo amico ed esecutore testamentario Antón Arrufat, che scrisse anche un eccellente prefazione. Conteneva una prima raccolta, molto parziale, dei suoi testi critici. Nel 1999 uscirono in Spagna i suoi Cuentos completos.