Leo Maslíah (Montevideo, 1954) in Uruguay e Argentina è un vero e proprio personaggio. Esordì come musicista “colto” nel 1974 interpretando all’organo un brano di Haendel e in seguito si mise in luce come compositore. Alla fine degli anni ’70 però debuttò anche come interprete di canzoni popolari, e da allora ha pubblicato più di 40 dischi, «di musica popolare e impopolare», come scrive lui stesso. Nel 2003 ha composto un’opera, Maldoror, basata sui Canti di Maldoror dell’uruguayano Isidore Ducasse. Si è poi disimpegnato come drammaturgo e ha anche calcato le scene come attore. Nel 1983 ha iniziato a pubblicare volumi di racconti, brevi prose e romanzi, quasi invariabilmente di genere umoristico, arrivando anche qui a 40 e passa libri.
Lettera a uno scrittore latinoamericano
Caro scrittore latinoamericano,
negli ultimi decenni abbiamo seguito la tua carriera e dobbiamo comunicarti qualcosa d’importante. Diamo per scontato che servirà non solo a te e ai tuoi, ma anche a mantenere il sano equilibrio esistente nel ricco spettro di forme, generi e stili che compongono il vasto mondo della letteratura. Sappiamo che hai talento, ma fa’ attenzione! Utilizzalo con tatto. Non tentare incursioni in ruoli che non ti sono stati assegnati. Non fare l’avanguardista, perché ti boicotteremo. Non avalleremo le tue invenzioni. Devi usare i tuoi doni nell’impresa di applicare le tecniche poetiche e narrative la cui validità è stata consacrata dai nostri scrittori. Solo che loro si sono valsi di quegli strumenti per descrivere la nostra realtà, e tu devi descrivere la tua. Qui c’è un gruppo di intellettuali che si assumono, a nome di tutta l’Europa occidentale, la responsabilità del fatto che la gente nel tuo paese viva male. E queste persone hanno bisogno di documentazione. Hanno bisogno di testimonianze dirette delle atrocità commesse nella tua terra dalla colonizzazione e dall’imperialismo, nel corso dei secoli e per mano di successive metropoli. E hanno bisogno che queste testimonianze siano ben scritte, per dimostrare la loro tesi secondo cui i latinoamericani non sono esseri inferiori, anormali bastardi nati in modo illegittimo dall’incrocio di due specie non compatibili (la cultura metropolitana e quella autoctona, con l’innesto di quell’altra trapiantata dall’Africa con la forza). È solo che il clima tropicale li rende un po’ mollaccioni e, be’, nell’economia di mercato chi non si da una mossa va a picco. Perciò cerca di scrivere bene, idiota.* Scrivi cose che possiamo capire. Colore locale sì, puoi metterci tutto quello che vuoi, frasi idiomatiche caratteristiche, termini indigeni, perché, come sai, “dipingi il tuo villaggio e dipingerai il mondo”. Ma devi dipingerlo con il pennello che ti diamo noi. Solo così avrai critiche positive su “Le Monde” e “Cambio 16”. Se scrivi cose strane, non faremo il minimo sforzo per decifrarle, e i tuoi conterranei, anche se ci vedessero dei pregi, faranno orecchi da mercante e ne diffideranno, perché non saranno sicuri che siano buone, a meno che non siamo noi a decretarlo.** Ti avvertiamo un’altra volta: comportati bene. Devi essere la voce del senso di colpa dell’Europa. Se ci dai retta, ti promettiamo che avrai sempre un posticino in fondo al nostro elenco dei più venduti, e ti porteremo in giro per tutte le città del primo mondo, dove terrai conferenze sulla tua letteratura e sulle disgrazie della tua gente. E sulle riviste letterarie europee usciranno articoli su di te, scritti da noi. Prenota la tua copia per tempo.
Firmato:
Associazione dei Critici Letterari d’Europa
e Tribunale di Geopolitica Letteraria
* A volte siamo soliti ricompensare questi sforzi con il premio Nobel.
** C’è una sola eccezione; un unico permesso è stato rilasciato a uno scrittore del tuo subcontinente per abilitarlo a entrare in quella che chiamiamo “letteratura universale” (o letteratura seria, o grande letteratura): Jorge Luis Borges. Ma, in via riservata, ti confidiamo che si deve al fatto che per noi lui è inglese.
Werner
Werner era ignorante, amorale, morboso, sordido, bugiardo, brutto, malpensante, sporco, esecrabile, pervertito, impreciso, lussurioso, cocciuto, pigro, egoista, retorico, disordinato, maldestro, detestabile, meschino, scontroso, scansafatiche, intrigante, narciso, lascivo, distratto, immondo, saputello, avaro, libertino, arrogante, traditore, svergognato, insolente, superbo, spocchioso, insensato, nottambulo, malvivente, vanitoso, antipatico, toppo soddisfatto di sé, goffo, diffidente, impostore, imbroglione, truce, insipido, irascibile, fatuo, ostinato, vizioso, indifferente, torvo, unto, astruso, depravato, crudele, pettegolo, volgare, spietato, scurrile, intrigante, presuntuoso, testardo, perverso, sfacciato, taccagno, ingordo, scansafatiche, trasandato, pedante, intrattabile, borioso, malizioso, sospettoso, maleducato, malvagio, ficcanaso, spaccone, baro, senile, scortese, rimbambito, fanfarone, insopportabile, ostinato, sleale, immaturo, meschino, villano, sempliciotto, inetto, sfacciato, perfido, indeciso, pesante, tardo di comprendonio, grossolano, cinico, ombroso, schivo, ostile, precipitoso, pasticcione, infame, adulatore e sboccato. È una fortuna, figlia mia, che tu non l’abbia sposato.
Letteratura a ostacoli
L’autobus si fermò al chilometro duecentoundici. Marisa scese e così pure l’autista, per consegnarle i suoi bagagli. Quando l’autobus ripartì, Marisa prese a camminare. Erano paraggi di terre rossicce. Ignoro perché avessero questo colore; in realtà non so niente di geologia.
Marisa camminò per un paio di chilometri e si sedette a riposare sui suoi bagagli. Ignoro se facesse caldo o freddo perché non so niente di meteorologia (inoltre io non ero lì). Marisa avrebbe voluto alzarsi per continuare per la sua strada, ma aveva dolori all’inguine. Sfortunatamente, non posso dire niente sull’origine di questi dolori, perché mi mancano le più elementari conoscenze di ginecologia.
Marisa chiamò a raccolta le sue forze e si alzò. Per orientarsi meglio tirò fuori dalla borsa un binocolo (forse era un cannocchiale; non so niente di strumenti ottici) e diede un’occhiata ai confini della sua visibilità. Avvistò una figura umana all’orizzonte. Si avviò verso di lei. Anche la figura camminava nella direzione di Marisa. Questo credo io, ma non sono sostenuto da alcuna conoscenza della geometria.
Qualche minuto dopo la figura divenne riconoscibile per Marisa. Si trattava di un uomo. Era quasi nudo ed era pettinato e truccato conformemente alle norme vigenti nel gruppo umano, tribù, clan, o quel che fosse, a cui apparteneva. Non intendo fornire dettagli in merito per paura di fare una figuraccia, dato che non so un bel niente di antropologia.
Quando le fu vicino, Marisa tirò fuori la macchina fotografica. Credo che abbia cominciato a regolare l’esposimetro e non so quante altre cose. Marisa era una bravissima fotografa, io invece no, anzi, non ho un cazzo di idea su come si scatti una foto. A quanto pare neanche quell’uomo ce l’aveva, perché quando vide l’apparecchio si spaventò. Si avvicinò a Marisa e le strappò di mano la macchina fotografica. Non contento, le strappò anche i vestiti e – con maggior delicatezza – si tolse i pochi che aveva addosso lui.
A quel punto accadde qualcosa che mi vedo nell’impossibilità di descrivere, forse per mancanza di esperienza personale in materia. Non so niente di sesso, e credo che la faccenda andasse in quel senso. (Chiedo scusa se a volte mi esprimo in modo confuso o scorretto; il fatto è che non so niente di grammatica.) In realtà l’unica disciplina che padroneggio è la letteratura. Sinceramente, in questa materia credo di sapere più di chiunque altro. Ma ormai non posso più scrivere, mi dispiace. Me lo impedisce la mancanza di formazione in altre discipline, che si frappone costantemente fra la mia penna e i miei lettori. Questo inghippo meriterebbe indubbiamente, da parte mia, uno studio approfondito, ma non posso farlo perché non so niente di epistemologia.
Quindi non mi resta che dire addio, e grazie (non so se è appropriato congedarsi così; chiedo scusa, ma non so niente di buone maniere).
Avenida 9 de Julio
Buenos Aires, Argentina. Giornata di sole. Avenida 9 de Julio. Semaforo rosso. Si accalca gente che vuole attraversare. Anche dall’altra parte. Il semaforo tarda a cambiare. Arriva altra gente, in entrambi gli schieramenti. Ogni distaccamento fissa il semaforo opposto mentre raccoglie le forze. “Coraggio, ragazzi” dice un tipo ai compagni di marciapiede, “verrà il giorno in cui potremo attraversare.” Gli altri lo riconoscono immediatamente come leader. “Forse alcuni cadranno nell’impresa” prosegue, “ma resteranno per sempre nei nostri cuori.” Il semaforo è ancora rosso. Di fronte, lo schieramento opposto ha designato come leader una donna.
Il suo voluminoso avantreno la rende particolarmente adatta a violenti impatti frontali con pedoni che procedono in direzione contraria. “Siamo con te, Tatiana” le urlano alcuni. “Quello non è il mio nome” ribatte, ma lo assume ugualmente, come Woitila quello di Giovanni Paolo. Di fronte a lei, l’altro leader la fissa e le mostra il dito medio della mano destra. I suoi compagni, uomini e donne, lo imitano. Alcuni hanno dei binocoli e scelgono contro chi andranno a sbattere. Altri tirano fuori la lama dei loro coltellini svizzeri e la esibiscono a mo’ di prua. D’un tratto, semaforo giallo. Uno studente, seguace di Tatiana, domanda se può dipingere di blu il vetro giallo del semaforo che ha di fianco, in modo che diventi verde, così quelli dello schieramento contrario verrebbero schiacciati dalle auto mentre cercano di attraversare. La capa gli chiede di pazientare e giura che a tempo debito non rimarrà in piedi un solo avversario. Lo studente recita una poesia di García Lorca: “verde, ti voglio verde”. Finalmente il semaforo cambia. “Addosso” urla il leader di fronte, “dobbiamo seppellirli nell’asfalto, il sole è dalla nostra parte e li ha già rammolliti un po’”. Le due coorti iniziano la marcia verso la collisione. Tatiana si sistema il reggiseno. L’altro leader schiera i suoi in ordine di altezza. “Prima le donne e i bambini”, dice. Tutti procedono con passo risoluto. Le auto, ferme, osservano lo spettacolo, e un gruppetto di bambini di strada, solitamente impegnati a lavare i vetri delle macchine in cambio di qualche moneta, fanno succulenti scommesse su chi vincerà la crociata pedonale. Attenzione, mancano pochi metri. Ci siamo, ormai ci siamo. Due passi, un passo. E a quel punto, all’improvviso, tutti cambiano radicalmente atteggiamento. Cominciano a chiedersi permesso l’un l’altro e a schivarsi. Tatiana è finita. Si verificano soltanto alcuni sfioramenti del tutto innocui. Nessuno cade, nessuno viene schiacciato. Tutti arrivano a destinazione sui rispettivi marciapiedi di fronte, e seguono gli abulici percorsi che li condurranno a sbrigare le loro sciocche incombenze. Nessuno ricorda la sua intenzione preliminare. Tutti fingono senso civico, che cagoni.
Black-out
Il buio non mi preoccupa. Mi preoccupa la luce. Il buio è solamente assenza di luce. L’assenza invece mi preoccupa. La preoccupazione no. Mi è indifferente. Eppure, l’indifferenza mi preoccupa moltissimo. La considero un atteggiamento vergognoso. Anche se la vergogna non mi preoccupa. Prima sì, mi preoccupava. Ma per me il prima e il dopo fanno lo stesso; la mia vita si sviluppa tendendo al nulla. Per questo il nulla non mi toglie il sonno. Il sonno, invece, è qualcosa che mi interessa. A volte rimango sveglio tutta la notte a pensarci. Non arrivo a nessuna conclusione, ma del resto le conclusioni mi esasperano. Preferisco i punti di partenza. Non per le partenze; per i punti. Cerco sempre di accumulare punti. Non per i punti in sé; per l’accumulazione. L’accumulazione di una cosa sola, beninteso, non un cumulo di altre cose. I cumuli, io, se potessi, li disgregherei. Le cose devono starsene separate; non insieme. Insieme formano altre cose, e questo porta complicazioni. Anche se io delle complicazioni non ho paura. A spaventarmi sono le cose semplici. Le cose semplici non si sa da dove escono; è lì il mistero. Anche se i misteri, per fortuna, non mi interessano. Mi interessa la fortuna. Che sfortuna. Perché la fortuna è sempre scarsa. E se dicessi che non mi preoccupa la scarsità, mentirei. Comunque, mentire non mi preoccupa. Mi preoccupa la verità. Quando mento non ho problemi; posso dire qualsiasi cosa. Anche se fosse la verità, non importa, perché la dico come menzogna. Ma quando parlo con la verità, devo essere più cauto. Nel dubbio, in quei casi dico il meno possibile. E poi mi contraddico, così copro due possibilità. Ma non è che voglio coprirmi. Io faccio tutto all’aria aperta. E se non c’è luna, meglio. A me piace il buio. Il buio non mi preoccupa. Mi preoccupa la luce. Il buio è solamente assenza di luce. L’assenza invece mi preoccupa. La preoccupazione no. Mi è indifferente.
Catena di sant’Antonio
Questo messaggio non è una catena di sant’Antonio. Perciò, lo distrugga senza rinviarlo a nessuno. Contravvenire a questo consiglio non farà altro che intasare inutilmente l’ampiezza della banda. Sia giudizioso. Non è neanche necessario che lei continui a leggere. Se non ha altri motivi per restare collegato alla rete, può cancellare questo messaggio e uscire dal programma senza dover lamentare la perdita di informazioni importanti. Anzi, se continua a leggere, francamente, è perché è un individuo improduttivo, che non ha niente da fare. Perché non esce invece a farsi un giretto?
Le ripeto che in queste righe non troverà assolutamente nulla che possa esserle utile. Glielo posso garantire, perché conosco la continuazione del testo, sono io a scriverlo e a decidere quello che succede in ogni paragrafo. E ciascuno di essi è esattamente dello stesso tenore del precedente.
Cioè: non dice nulla. Quindi… Smetti di leggere, imbecille! Che cosa speri di trovare? Ti ho già detto che non c’è niente… non mi credi? Bene, fottiti. Va’ pure avanti a leggere, tanto non troverai niente che non confermi quanto detto sopra, vale a dire che in quello che segue non si dice niente. Niente di niente. Non c’è volontà di dialogo, non c’è nemmeno volontà di monologo. È un testo vuoto, e continuerà così fino all’ultima riga. Si potrebbero benissimo lasciare in bianco le righe che mancano, se non fosse che, visto che questa pagina non ha linee, non si noterebbe che ci sono. Ma il fatto che ci siano non significa nulla. Non sono lì per qualche motivo particolare. Capisco che la curiosità possa averti spinto a continuare a leggere fin qui, ma se insisti… è perché la tua coglionaggine non ha limiti. Che idiota, Dio ce ne scampi e liberi! Nemmeno per uno studioso di linguistica o di grammatica ha senso continuare a leggere, perché si tratta di una semplice sequenza di frasi banali il cui unico scopo è ratificare l’assenza di finalità di tutto il resto del messaggio. (Continuerà.)
Navajo
Io essere indio navajo. Io vivere posto tranquillo finché uomo bianco venire. Tutto cominciare così: navajo coniugare sempre verbi all’infinito e così vivere in pace, senza presente né futuro, senza Kant. Ma uomo bianco arrivare e parlare stessa lingua che noi, spagnolo, però uomo bianco cominciare a coniugare verbi in modo indicativo e congiuntivo, e instaurare anche modo imperativo e ordinare noi ritirare in riserve. In altri posti uomo bianco fare lavorare indio per lui. E pagare con carie dentali. E indio cominciare ad avere bisogno di stuzzicadenti. E uomo bianco dire che rametto d’albero non servire perché non essere sterilizzato. E noi comprare stuzzicadenti da uomo bianco. E pagare con oro e argento. Oro e argento essere nostra cacca, ma uomo bianco non sapere e coniare monete con materiale, e passare monete di mano in mano. E quando sposarsi uomo bianco mettere in dito di sposa e in suo stesso dito anelli fecali. Questo succedere in quello che uomo bianco chiamare sud. Noi non parlare di sud perché pensare che estremi essere intercambiabili, perché come dire capo Orecchio Tagliato il mondo essere un fazzoletto.
Uomo bianco sempre mettere cose da un lato e cose dall’altro, e molte volte confonderle. Grande capo Orecchio Tagliato sempre dire che Van Gogh sbagliarsi di orecchio quando tagliarselo. Questo succedere perché lui essere alienato a furia di guardare suoi quadri, perché sinistra del quadro essere destra di Van Gogh, e viceversa. Per stessa ragione succedere che bibbia di uomo bianco sbagliarsi nel dire che dio creare uomo a sua immagine e somiglianza, dio di uomo bianco creare lui da fuori del mondo (perché avere creato anche mondo), e allora per poterlo vedere a sua immagine e somiglianza averlo creato con cuore a sinistra, ma lui averlo a destra. Inoltre cuore di uomo bianco battere, ma cuore del dio di uomo bianco essere atrofizzato e avere aspetto rachitico. Dio dell’uomo bianco creare bambini di nordest brasiliano a sua immagine e somiglianza di come lui vedersi in specchio. Però io divagare molto. Io cominciare parlando di carie dentali e finire parlando di nordest brasiliano. Inoltre io finire per usare gerundio. Questo succedere perché io essere acculturato. Ricevere molta influenza da uomo bianco. Mia moglie volere che io farle parrucca con capigliatura strappata a uomo bianco. Mia moglie volere somigliare a Johann Sebastian Bach. E gran capo Orecchio Tagliato criticarmi anche per portare in testa squame di pesce invece di piume. Ma questo succedere perché io essere incrocio. Mio padre essere navajo, ma mia madre essere coltello per tagliare pesce. Capo dire anche che io essere acculturato perché volere sbiancarmi la pelle come Michael Jackson. Lui però non sapere che io fare questo come tattica di camuffamento. Io mimetizzarmi fra uomini bianchi e con mezzo chilo di cacca comprare appartamento in quartiere residenziale. Poi invitare uomini bianchi a bere liquore, e quando averli alcolizzati prendere coltello e strappargli cuoio capelluto. Poi io togliere capelli al cuoio e farci oggetti di artigianato. Vendere pezzi in fiere artigianali dove uomo bianco comprare per arredare casa. Uomo bianco avere sempre bisogno additivi per tutto: avere bisogno collana per collo, avere bisogno anello per dito, avere bisogno quadri per pareti, avere bisogno materasso per letto, avere bisogno lenzuola per materasso, avere bisogno condimento per cibo, avere bisogno dolcificante per caffè, avere bisogno impermeabilizzante per tetto, avere bisogno timbri postali per lettere, avere bisogno formaggio grattugiato per pasta, avere bisogno ferri per cavallo, avere bisogno piume per testa di indio. Quando incontrare indio senza testa uomo bianco restare disorientato perché non sapere dove mettere piume.
Uomo bianco a volte allevare galline, e volpe di uomo bianco mangiarsele. Indio essere più astuto: allevare volpi, e galline che venire non potere mangiarseli. Però uomo bianco finire per distruggere navajo. Per questo io adesso smettere di parlare. Io ormai non essere niente. Gran capo Orecchio Tagliato avermelo già detto molte notti nel guardare firmamento: merda, non essere niente.
(Alcuni racconti sono stati pubblicati sul blog di Sur, altri sono inediti in italiano.)