In un omaggio a Herman Melville in occasione del centocinquantesimo anniversario della pubblicazione di Moby Dick, César Aira – che per molti anni ha esercitato la professione di traduttore – scriveva: «La prima frase di Moby Dick, “Call me Ismael”, è il “c’era una volta” del romanzo moderno. La tradizione popolare l’ha resa celebre come modello di incipit eloquente, insuperabile e soprattutto inimitabile. Per i traduttori di Melville quella frase iniziale è un eterno problema. C’è chi ha detto che gli è costata più lavoro di tutto il resto, che non è poco. È uno di quei casi in cui manca il contesto, e nel contempo ce n’è fin troppo». Sulla scia di alcune acute osservazioni condotte sul filo del paradosso, Aira alla fine proponeva di tradurre così: «Mi viene in mente un’altra soluzione, talmente ovvia in realtà che non mi stupirei se qualcun altro l’avesse già proposta: “Potete darmi del tu”, o “Puoi darmi del tu”».
Se ci si ispirasse a criteri interpretativi altrettanto liberi e singolari, la frase che dà il titolo a questo romanzo di Aira, Como me hice monja – letteralmente, Come mi feci monaca –, potrebbe essre tradotta Come morii. Risulta infatti convincente l’interpretazione del critico letterario Daniel Link, secondo la quale dietro questa frase si cela un gioco di parole tipico del vesre, o revés, la parlata popolare del Río de la Plata, che consiste nel suddividere le parole in sillabe per poi invertirle: mon-ja diventa quindi ja-mon – nel senso gergale di «morto», «cadavere» – e di conseguenza il titolo del romanzo sarebbe Come diventai cadavere, o Come morii. Perciò il romanzo direbbe la verità – la verità della sua fine – fin dall’inizio, fin dal titolo, ma mediante una frase in codice che solo chi è argentino può capire.
Va precisato che non tutti concordano con questa lettura interpretativa. Adriana Astutti, per esempio, editrice argentina che ha pubblicato vari romanzi di Aira, trova limitativo il riferimento gergale in quanto si perde il peso e la portata del significato squisitamente letterale. Il romanzo infatti «racconta l’infanzia come evento e come divenire, con una domanda e insieme uno scherzo: come farsi monaca: prendere l’abito: uscire dall’infanzia: la morte della bambina».
Non si è optato per la traduzione-interpretazione «forte» – Come diventai cadavere o Come morii – perché avrebbe svelato da subito il sorprendente finale e anche perché si sarebbe persa l’allusione ironica alla tematica religiosa e alla tradizione delle vite dei santi, incentrate sulla nascita della vocazione alla santità, che nel caso di Aira si rivelerà una vocazione alla scrittura.
(Nota del traduttore, in Come diventai monaca, Feltrinelli 2007.)